martedì 31 luglio 2012

Talmud. Flusso quantico e cose stupide...

Smise di volerla capire, non ci aveva più pensato, se non certe volte,
in certe situazioni precise, e si convinse di aver trovato cose più importanti
mentre lei ancora pensava di potergli mentire
come se non sapesse che lui fosse capace di leggere nelle cifre matematiche
dei suoi occhi violenti e azzurri,
come spesso i cieli capricciosi d'autunno a Napoli.
Aveva imparato a memoria il Talmud segreto dei suoi sentimenti,
sfiorando il braille nei suoi capelli, su quel corpo ancora così giovane
riuscendo a far germogliare i sussulti di quel suo cuore che passa,
mentre almeno con lei cercava di rinunciare all'immagine irreale che
sceglieva di portare, come saper cesellare il senso esatto delle parole
che lei gli aveva sussurrato cinta da una stanchezza che non era fatica
ma era stanchezza di vincere, che se hai sempre tutto ciò che vuoi
poi non sai più cosa vuoi.
Ma a lui piaceva tenersi stretti più che altro i ricordi, lui che per non
perderla aveva provato a nasconderla in poesie di poche righe
costruendo cortine di versi, ma come il futuro lei non poteva stare davvero
ferma, in un quantico flusso di particelle i suoi vent'anni la costringevano
all'irrequietezza, come la luce che filtrata dal prisma esonda in direzioni
cromatiche che l'occhio non riesce a raggiungere e a prevedere.
Provò a tenerla stretta piuttosto che assecondarne il moto
e fu una cosa stupida, ma come disse Wittgenstein: se non ci fossero
cose stupide, niente di veramente intelligente sarebbe mai fatto.


Faye Goddard.

Muse. pezzi a cazzo. 

lunedì 30 luglio 2012

Non ho mai usato le ciabatte.

Ho sempre voluto che tutto fosse un disastro
senza avere programmi
che non riguardassero la giornata
con cose sparse ovunque
e affetti poco duraturi
un disordine bulimico
capace di ingurgitare tutto e poi risputarlo
in una forma magmatica che non avevo previsto
e volervi fare i conti
perché m'immagino che certe grandezze
si fanno forza su un certo margine di spreco
un disavanzo che posso guardare
come una vallata in cui
avrei potuto ma non metterò mai piede
ho sempre voluto che tutto avesse
il contorno di una gioia finita
come la sabbia tra le mani
osservarla passare
e ridursi e mentre ciò accadeva
poterlo raccontare
non ho mai usato le ciabatte
perché ti calpestano i piedi e poi
con le scarpe stai sicuro che puoi scappare più veloce
e su qualunque superficie.

Faye Goddard.

I'm still here. Pearl Jam.

venerdì 27 luglio 2012

Bevo coca cola e mollo cazzotti.

39) Faye Goddard ora tocca a te.
Niente sedatol, e niente sigarette
Perché le sue mani diventano gialle,
e sai la gelosia.
Dille di correre sugli altari delle spose,senza il vestito bianco
Niente tono addolorato, o vestiti neri
Sovversiva, affonda alle radici la ribellione.
Regalale un lego, per le sue smanie di mettere ordine.
Non chiedere e non guardare, ascolta.
Domani tregua, senza infliggere follìa
In caduta libera. Accontentati
Io giro l’angolo, in cerca di nuove forme geometriche
Per vestire i vari Spock, il capitano Kirk, e la mia “stella libera” Nyota Uhura
Insegnale  a scrivere con la matita,
per il pregio di poter cancellare, riscrivere.
Cancellare e scrivere,
in una mano la gomma
e nell’altra il temperamatite per le punte sottili.
Avevo il diritto del suo profumo.
Peggio. Peggio per tutti.
Ma non rimpiango, niente smorfie
Bevo coca cola e mollo cazzotti.


Shpati.

Afrodite.

37) Il solito pensiero “allacciare i lacci intorno al collo”. Il noir della tua vita, delle tue emozioni delle ultime boccate di sigaretta, era presente ormai da mesi. Il ricordo di quelle parole. Lui e lei, e tu con le tue scarpe verdi e lacci bianchi. La passione è rosso, ripetevi sempre. I dettagli erano il tuo forte, rosso e lacci. Pronti per l’uso. Per mesi ore e minuti avevi consegnato i tuoi sogni, le tue timidezze. Il tuo cuore per lui non era più un grande castello, con una miriade di stanze, ma era diventato un grande salone per un unico ospite, per un unico amante, notturno e non. Orgoglio. Ti piaceva sentirti donna. Quando faccevi l’amore non toglievi mai le scarpe, perché pensavi sempre meglio fuggire nuda e piedi caldi che coperta e senza scarpe . Eri quella che per ogni attimo attingeva dalle noie degli altri e li rendevi forza per te. I loro insuccessi erano la tua adrenalina quotidiana, la droga notturna. I loro sogni irrealizzati erano l’eiaculazione perfetta, e le loro masturbazioni impotenti erano la tua virilità. Li guardavi negli occhi e vedevi solo corpi che ronzavano intorno come mosche intorno alla carne scaduta. Ma per lui, avevi fatto il miracolo di San Gennaro, amavi scalza. Perché ogni emozione bisogna sentirlo pervadere dal palmo del piede, senza scarpe antinfortunistiche . Pensieri e lacci. Amavi il mondo, non eri l’uomo della caverna platoniano, neanche il dubbio cartesiano, sentivi il bisogno di portare un paio di scarpe sotto i piedi e un paio di stivali sulle spalle, come fine della ragion pura. Perdeva sempre le scarpe lui, e tu non chiedevi. Le lasciava all’entrata, alle amanti come segno di riconoscimento. Amante perfetto. Non capivi, credevi che l’uomo ormai ha raggiunto la parità anche nelle scarpe. Credevi a lui, al suo cuore e alle sue parole. Ma basta, quel giorno avevi guardato i suoi piedi mentre ti accarezzava, mentre ti sussurrava le sue bugie, e avevi visto quello stivale femminile, e avevi chiesto e questi. E lui impaurito si era girato, si era stretto intorno a se, aveva guardato i tuoi occhi lucidi e disse “ chiamami Afrodite”



Shpati

giovedì 26 luglio 2012

Bufere violente e vecchie scarpe da passeggio.

Volevi quelle scarpe
e nel non poterle avere
passeggiavi con quello che riuscivi
a trovare abbastanza pertinente
e principi da ogni parte
s'inginocchiavano lusingandoti con le loro ultime trovate
cercavi ciò che fosse almeno coerente col tuo stile
qualche volta persino azzardavi soluzioni
che non avresti previsto mai
ma sono quelle le scarpe che sai
porteresti volentieri per il centro
che vanno bene con le tue piccole e grandi
contraddizioni stilistiche
calzature calzanti che quando le guardi
capisci che l'America è vicina
e quello che voleva dire Einstein
su certe relatività temporali che senza numeri
lui faceva fatica a spiegare
tempo che si ferma e riparte
come il flusso del sangue
che obbedisce al battito del cuore
in certe ferite particolarmente profonde
tempo che pensavi fosse uno solo
e invece ti sbagliavi.


Faye Goddard e le sue ultime bufere violente.

La versione di Shpati. La sfida atto secondo.

Shoesaholic. Un legame intimo, particolare, un poco come svegliarsi la mattina e avere tanti amanti, stipati in quell’armadio. Scarpe, scarpe e ancora scarpe. Seduzione in armadio, pronte, tutte in fila, collezionate come i propri pensieri, con un ordine di importanza e di colore. Stivali a tutta coscia sul fondo per sostenere il movimento ondulatorio del corpo. Décolleté dal tacco impetuosso, zatteroni, anfibi, pantofole pelose a muso di topo e ciabattine oro con tanto di piume di pavone. Il tutto mescolato a infradito miste. E lì, inciso sulla fibbia dell’ultimo sandalo, un grande scritta ” Prendimi “. Mai disfarsi di loro, dentro a quell’armadio che diventa il museo personale di ogni donna, il trofeo della seduzione, le figlie di Afrodite, nuda ma con i sandali. Le cenerentole moderne. La glorificazione del tempo, di quei momenti eccitanti, nelle strade. Mai disfarsi neanche quando si fa l’amore, togli tutto ma non quel gigantesco tacco, che ti eccita sopra al petto, simbolo dell’eros. E il loro girotondo mentale rispecchia il tipo e il colore, la grandezza e la comodità. Il movimento psichico coincide alla perfezione con scarpe,scarpe e scarpe. Azzurre, rosa, verdi fosforescenti, e tanti colori, l’arcobaleno nella casa, nell’armadio. Arcobaleno per i piedi. Ossessione eccellente, sintomo pragmatico del loro essere, mezzo di attrativa e fascino. Scarpe, scarpe, e ancora scarpe, e tu con la tua coppia di mocasini, cerchi di dare ordine, di farla innamorare per l’ennessima volta, come la prima volta, come fosse la primavera, come fosse il coriandolo che scoppia, ma non hai fatto il conto con la sua mente che eguaglia alla perfezione il numero di scarpe.


Shpati.

mercoledì 25 luglio 2012

Le donne hanno armadi di uomini.

Questa è una piccola sfida
per cui potreste ritrovarvi con più
di un post sull'argomento:



Alle donne piace tenere un piede in più scarpe
ragion per cui hanno armadi pieni di scarpe
quante scarpe hai tu?
mi ha chiesto il mio amico albanese
una sera che stavamo tornando a casa
due o tre ho detto io
io di meno sicuro, ha risposto lui
ma le donne
ha continuato sulla scìa della sua teoria
ne hanno armadi pieni
perché a loro piace stare
con i piedi in scarpe diverse.
Questo è quando mi sento un mocassino
un mocassino delicato
o una scarpa di vernice
quando l'occasione si fa ufficiale
e magari lui diventa una scarpa antinfortunistica
ma magari
sbaglio perché dovrei vedere noi come scarpe che
una donna vorrebbe indossare
allora
amico mio
io sono una scarpa col tacco
da tenere alle feste
e tu qualcosa da ginnastica
che va bene spesso
quando devi camminare, ho pensato io
ma il punto, ho capito poi
è che sempre scarpe siamo
e non c'è un cazzo da fare
per quanto ci agitiamo
saranno loro ad aprire l'armadio e a sceglierci
quando di volta in volta
l'abito sarà adatto.

Faye Goddard.

I bambini che giocano al pallone...

lunedì 23 luglio 2012

L'inconsolabile.

saltavamo sul letto
in una di quelle sere che poteva essere
la svolta
con gli occhiali anni ottanta
fingendo di essere Morrisey senza glicini
la classica sera prima di una vita diversa
che poi dici
cosa accadde io me lo ricordo
quando qualcuno verrà a casa tua a chiedertelo
e tu lo dirai con gli stessi occhi di adesso
mentre mi fai la valigia
il libro che era il tuo
e io non l'ho mai nascosto a nessuno
e la pioggia ci entrava in casa
e ci pareva di essere sulla spiaggia
saltiamo sul letto e sembriamo quello che siamo
piccoli e dolci
e innocenti dopo tanto tempo
mentre soffiavo via gli insetti
e scegliamo una cravatta con cui
domani posso andare alla televisione
e mi vedrai vestito come suggerivi
e sarò una cartolina da lontano non così lontano
la vita non ce lo aveva detto
ma adesso siamo qui
e non è come ce lo saremmo aspettato
ma così innocenti
come ora
ce lo siamo augurati
e adesso
guardami
ti voglio solo bene
e persino mia madre te ne vorrebbe
più di quanto te ne voglia già.


Faye Goddard.

La battaglia delle bande. Dente.

la propria storia personale.

Ci sono appuntamenti con la propria storia personale
che non puoi rimandare
cose che comunque vadano ti chiederanno di raccontare
cose che ti fanno sentire vicino a quei sogni
che hai cresciuto in silenzio e in disparte
sogni che sono venuti su con te
e ti hanno reso quello che sei come una biografia
mentre li tenevi nascosti al mondo come disonesti
e gli tenevi compagnia raccontandogli che presto
tutto andrà meglio
e sarà bello poter stare al sole insieme e dire
questi siamo noi
ora che la luce di tutte quelle stelle cadenti che hai implorato
per anni ti piove addosso
proprio quando non te lo aspettavi
abituato a  difendere e a non avere ragione.
Affronterai tutto questo da solo
e in parte te la sei proprio andata a cercare così
che se le cose non sono come devono essere
allora è meglio che non sono affatto.
La tua storia personale parla anche di un tempo
in cui delle persone incantevoli le perdi magari anche solo
perché ti assomigliano troppo
e hai lasciato che ti dicesse addio vicino all'acqua
senza fare difetto
mentre le mentivi dicendole non ti ho pensata mai
mentre eri via
chiuso in te stesso così fottuto
da un passato che ancora subisci
fottuto dalla velocità
dalla scarsa pazienza
dal tempo che ti è stato concesso di vivere
come se ci fosse sempre qualcosa di meglio
che nemmeno riesci a immaginre
persone e posti e persino lavori che vorersti fare
così non ti esponi e quando il gioco comincia ad essere
anche solo un po' più complicato lo abbandoni
perché non ti è mai piaciuto perdere tempo
a leggere le istruzioni e a imparare le regole
e così lasci che si perda
lei la cui bellezza risiedeva nella vita che sprigionava
che aveva il dono della caffeina
che a starle accanto avevi solo voglia di startene a spasso
andare a un'altra festa, un'altra sigaretta
ancora parole e domande e non andare mai a dormire.
Eppure nonostante questo
la saluti e ridi
e nemmeno le hai detto
che ti mancherà.

Faye Goddard.

Io cerco te. Teatro degli orrori.

giovedì 19 luglio 2012

Tutti i nostri no dove vuoi che ci portino...

Se la crisi è una marea, ti ho detto
noi siamo ciò che resta sul bagnasciuga
e tutti i nostri no da qualche parte ci porteranno
ma tu scuotevi sempre la testa
e non ti volevi arrendere
e perseveravi
con tutti i tuoi "ma neanche se mi pagano"
ma tanto non ti pagano...
e poi non è così importante, dissi
se non che stai bene e io
volevo solo farti ridere
tu che invece hai imparato così bene
la lezione sulla precarietà
che finisci con l'applicarla
persino ai sentimenti
quando almeno per quelli magari
non costa niente tenerci per mano
ma il terrore di stare male
le tante paure
e col cazzo che mi faccio fregare, dicevo io
che faccio la fine dei miei
o solo la fine dell'ultima volta
per cui magari è meglio
se corriamo a salvare poveri che non conosciamo
in parti del mondo
in cui non c'entriamo niente
piuttosto che esporci qui
tra i nostri simili
noi senza un minimo di equilibrio
rovesciati come utensili rotti
basterebbe lasciarsi andare
e capire che il futuro non è tutto
ora che mi aspettano per sapere cosa ho da dire
su ciò che scrivo
e io che l'ho sempre sognato
ti racconto che mi paralizza
ma può essere sai
che tutti i nostri no
da qualche parte ci abbiamo portato già.


Faye Goddard.

I cassonetti in fiamme fanno un odore strano...

Ci distraevamo e distraeVamo gli altri, che non potessero leggerci normali



Eravamo arresi, o sul punto di arrenderci. Questa era la nostra condizione. E lo sapevamo e questo era anche peggio. Vedevamo cambiarci più di quanto non potevano gli altri, avevamo paura, perchè in fondo lo sapevamo, l’avevamo sempre saputo, che prima o poi… Fino a quel momento allora ci eravamo strappatii capelli verso qualcosa a cui nuotavamo, ma senza scorrere, a fatica, controcorrente, come ci piaceva credere. Tutti verso qualsiasi cosa che non apparisse quello che avevamo intorno. Ma in fondo eravamo solo lettori di storie e cipiaceva immaginarci anche raccontarne, le nostre, a capotavola, tra un bicchiere e nipoti. Questo avevamo fatto fino a quel momento. Scritto enient’altro, storie che valesse la pena di raccontare. Del resto c’era quella faccenda del midollo della vita, che ci piaceva ricordarci a vicenda. La convinzione chese la vita è una, potevamo scegliere di viverne tante. Un giorno dire e dirsi di essere stati questo o quello e di aver visto questo o quello e di aver creduto a questo o a quello. Forse eravamo più immaturi degli altri non perché non crescevamo ma perché non smettevamo di immaginarci da vecchi. Mai. E preferivamo disegnarci delle rughe piuttosto che aspettarle. Così fino ad ora. Che tutto ciò che avevamo seguito sembrava trasformarsi in niente mentre l’orgoglio in invidia. Perché potevo esserlo anch’io, ma non ho voluto. Ma infondo non l’avevamo mai scelto, di essere, noi. Perché per noi tutto era uguale o diverso, ma collegato e piuttosto che seguire un filo, preferivamo soffocare nella rete. Esche per noi stessi. Perché potevamo essere tutto quando tutto era niente. Perché ci amavamo, ognuno se stesso, più di quanto riuscivamo ad amare chiunque altro,persino lei o lui che davvero, ci avevano amato. Davvero. Distratti, propensiall’autoritratto più che allo specchio. Li avremmo rimpianti. Se avevamo mai amato? Si e no. Si, a riempire le nostre storie, perché anche l’amore meritava un racconto. No, perché eravamo soli, ma ce ne accorgevamo soltanto ora. Orache amavamo un pò meno noi stessi e di amore ce ne avanzava, troppo. Prima fu così e ci piaceva, perché ci sembrava di imparare ed era tutto. Ora era diverso, perché per quante vite avevi potuto scegliere di vivere, alla fine le vedevi ridursi alla stessa, una, che da sola infondo non era poi nulla dispeciale.



Tanerc

LouisArmstrong, Potato head blues.

martedì 17 luglio 2012

E' tutto dire


Sono felice di essere qui
mentre il mondo fuori
rotola nella solita mediocrità,
e noi ce ne stiamo avvinghiati
come radici alla terra,
come alghe nell’oceano;
ed è tutto dire:
essere felice
non è mai stato facile,
non è mai stato nemmeno possibile
fino a quando non ti ho conosciuta;
e adesso,
adesso mentre il caffè profuma la casa
piena di tiepido sole mattutino,
io ti respiro,
come un fiore di campo
semplice e speciale
ti ammiro,
e tutto quello che sento
sono emozioni
mai provate prima,
emozioni libere da rime,
emozioni solo nostre
che nessuno può capire.

 Otto Blasi.
Dentro i miei vuoti. Subsonica.

lunedì 16 luglio 2012

L’ultimo buco




I suoi capelli conservavano ancora tutta la loro bellezza, lunghissimi e sottili le scendevano tra le scapole scavate. Erano scuri, ma di un colore indecifrabile, quello dei ricci di mare, un po’ neri, un po’ rossi, un po’ viola. A soli 30 anni però, Serena aveva visto la sua bellezza evaporare rapidamente, il fisico prosciugarsi fino alle ossa. Le costole erano diventate sottili canne di bambù ed in generale la sua magrezza era sconfinata nell’innaturale. Dava, guardandola, il senso della fragilità, sembrava potesse spezzarsi in qualsiasi punto da un momento all’altro.
L’eroina l’aveva ridotta in quello stato, l’aveva depredata del senso della fame e tolto 30 chili di dosso. L’ago era diventato il suo unico dio, la sola cosa a cui teneva ancora. Quello ed il suo figlioletto, nato pochissimi mesi prima dalla relazione con un altro tossico che aveva, non appena saputo della gravidanza, tolto le tende. Partiva, almeno stando a quanto le aveva raccontato, per la Germania per ripulirsi da quella merda che ormai gli incrostava le vene. Di fatto Serena non aveva saputo più nulla del padre del suo bambino e, nonostante lui le aveva promesso che sarebbe tornato in tempo per la nascita di loro figlio, per far sì che quella creatura avesse un padre vero e non quel fantasma in cui l’aveva ridotto la droga, lei sapeva bene che non l’avrebbe rivisto più. Conosceva quella bugia prima ancora che le fosse presentata come una giustificazione. Tanto più che non le importava assolutamente nulla se lui fosse tornato o meno, non se ne era mai innamorata e la sua presenza poteva solo essere un impiccio in più.
In quei mesi di gravidanza, ogni tanto, pensava che avrebbe dovuto smettere anche lei per il bene del piccolo, ma quel desiderio, sospinto dall’amore materno della donna che sente crescere una nuova vita nel suo grembo, veniva affossato inesorabilmente alla prima crisi d’astinenza. L’urgenza di bucarsi diventava l’unica ragione di vita e quando, iniettatasi quel veleno nelle vene, quella febbre si placava ed il senso di pace la invadeva, allora ripensava al bambino e giurava a se stessa, per tenere lontani i rimorsi della coscienza, che quello era l’ultimo buco che si sarebbe fatta sul braccio. Ma quelle promesse erano diventate decine e poi centinaia ed anche dopo il parto la storia non aveva cambiato il suo corso. Ed era ormai tanto profondo quel solco che in quella serata così afosa, Serena, bagnata di sudore e di disperazione, si era ritrovata con il suo bambino in un braccio e con l’ago nell’altro. Mentre uno cercava di sfamarsi del suo latte acido, aggrappandosi disperatamente a quel seno rinsecchito che neanche la gravidanza era riuscito a rinvigorire, l’altro le infondeva la morte, facendola scorrere lentamente nel suo corpo e liberandola da ogni colpa.


Darwes In China.

domenica 15 luglio 2012

Basta così...

Mentre tutti se ne vanno magari anche noi ce ne andiamo
lasciamo le cose a casa vecchia
le butteremo tutte via come partecipazioni di nozze non consumate
dal ponte di un fiume
andiamo lontano dove nessuno ci conosce
e magari la felicità ce la inventiamo
che qui non resta che brace spenta
e ricordi
insopportabili
di stanze vuote
e nomi che non si possono pronunciare
corriamo via più forte di un jet
le speranze che si sublimano sui finestrini
tra le nuvole
e saremo felici lontano vedrai
e potrò chiamarti tesoro in una lingua diversa
e tutte le cose avranno nomi che non ci immaginavamo
e vedrai tutto sarà di nuovo facile tipo l'anno scorso
in cui si rideva delle briciole sul tavolo
e saremo liberi
da tutte le solitudini così amare
settimane strane
avremo solo
programmi per il week end e non sarà poi così male
tornare quando saremo via
e tutti ci aspettaranno tornare
e saremo la novità di fine mese.


Faye Goddard.

Where is my mind. Pixies. (I know where is...)

White Riot.

Se hai perso la fiducia io so perché
ricordo quando e mi ricordo come è andata
ci sono passato e non è piaciuto a nessuno
stare distesi sul letto ad aspettare che passi la marea
ci hanno portato via come erbacce
mentre tutti correvano via
e se hai perso la fiducia io so perché e quando
fuori le sirene cantano da sole
e noi siamo stati calpestati come erbacce
mentre scappavamo come cani
e rifugiarci nei sottoscala non è stato abbastanza.
Andiamo al mare amore
con tutta la libertà che ci resta
fermi a guardarlo accovacciati sui talloni
potremmo agitarlo come una bandiera
di più non potrei fare
che starti a guardare
mentre perdi tutta la fiducia e io
non c'è niente che possa fare
per tenerti vicino
un mese ancora
oltre questo mese che passa in bocca ai gabbiani.


Faye Goddard.

Death. White Lies.

David Foster Wallace.

Leggere quello che David decideva di non buttare
ti faceva sentire il cervello in movimento
era bello che una così fulminante intelligenza si fosse appassionata
a ciò che anche a noi ci appassionava
che di solito certi cervelli finiscono con il voler risolvere equazioni
e rotolare verso le fissioni nucleari.
Dopo David ti sentivi pronto per la Critica della ragion pura.
Lo sentivi parlare, con quella sua orribile bandana celeste
ed era come aprire gli occhi di un qualche millimetro in più.
Finivi a fare le cose che facevi sempre
come la fila al super marker
e le avresti viste con gli occhi suoi
con le coordinate nuove che ti aveva fornito lui.
Ci sono cose per cui non puoi farci niente
che ti arrendono
e ti abbandoni con tutta la grazia
come quando ti butti all'indietro sperando che ti prenderanno
come hanno promesso
come quando decidi che sei pronto
e ti vuoi innamorare
che ti fidi, anche stavolta sperando che non ti faranno del male
che non ti faranno cadere.
Che poi Dave abbia deciso di lasciarci senza di lui
a soli quarantasette anni
beh anche questa
seppure non te la spieghi proprio bene
finisce che gliela puoi perdonare.


Faye Goddard.

Fruscii e piante. Alte maree immaginarie. 

venerdì 13 luglio 2012

Commento segreto...

C'è un uomo che corre
crede sbavando che la meta sia quella macchinina davanti che ancora gli sfugge
o la doccia gelata che fredda le parole in singhiozzi di rabbia
o le mille scale, scalinatelle, salite e salitone
il sudore non lo lava come sperava
il sudore non lo ricopre di scintelle come sognava
povero illuso
chè il senso
è sempre stato appiccicato alla sua schiena
come la luce di questi tramonti
che lo risplendono di controluce
e più sotto
le grida
gli strepiti
la vita
Anonimo.

mercoledì 11 luglio 2012

A pensarci adesso Faye Goddard...

A pensarci adesso Faye Goddard
non era davvero fatta che per il ricordo di lei.
Solo una foto, al caffé, ho che la ritrae
solo questo mi è permesso tenere.
Faye: la bellezza è un soffio
leggerissimo tra una banalità e l'altra
è una foglia che plana in un viale
una foglia capace di fare del semplice vento una poesia
alito di Dio.
Ora che non ci sei
ci sei solo tu
Faye.


Per Faye Goddard.


Il ronzìo del frigorifero.

Di nessuno. Nemmeno tuo.

Il giorno in cui maturai l'idea di non appartenere a niente
capii che per uguale giustizia
niente più mi sarebbe appartenuto.
Che fosse una persona
un credo
un partito
o la mia stessa patria
non faceva differenza.
Con imbarazzo rispondevo alla domanda
di dove sei?
E allo stesso modo ero riluttante
a dire dove stessi andando
poiché per entrambe io non avevo risposte esaustive da dare.
Come Kusturica  alla madre Senka
non sapevo cosa dire quando mi si chiedeva
di chi sei tu?
E mentre lui vanamente cercava di convincerla che fosse suo
io le avrei detto abbassando lo sguardo
e con la voce flebile per il dispiacere:
"di nessuno mamma
nemmeno tuo..."


Faye Goddard.


Una canzone di Dente ma più che altro ce l'ho nella testa.

martedì 10 luglio 2012

Cala il sipario si ritorna a casa. A presto AFST.

La fine di un'intensa esperienza durata tre giorni
porta via con se
i fondi dei tanti caffé presi
le facce degli artisti
le freselle e i pomodori
il rullo dei tamburi della festa
i tanti abbracci
e la voglia per tre giorni di scordarsi di se
e dire ai problemi ci vediamo lunedì.
Mi sa che sono pure sbocciati un paio d'amori
e se d'amore non si poteva parlare
almeno qualche bacio è stato regalato
e forse lettere d'affetto scritte al computer.
Siamo stati tutti bene
e un ringraziamento a Teatri in Gestazione è giusto farlo
un ringraziamento ad Alessia Mete per quanto mi riguarda
per non mandarmi a fanculo almeno tre volte a settimana.
E' stato tutto molto bello
ci vediamo l'anno prossimo
a tutti
a presto.

Pier Angelo Consoli.

domenica 8 luglio 2012

I primi addii. Le isole britanniche. Vedere cose diverse.

I momenti dei primi addii
e tu che ci credevi
e volevi il mare
io che non sono mai stato capace di amare
e volevi vedere in me qualcosa di diverso
per te che io ero pieno di vita
e non vedevi le cose perdute alle mie spalle
i pesi che tenevo per me
tu che mi vedevi sempre ridere
e stringere tutt'e due le mani
alle persone che nessuno voleva stare a sentire
io che mi facevo campo nomadi
prima accoglienza
acqua ai rifugiati
la luna nei pozzi
fari per i gabbiani
e ancora tenersi stretti gli abbracci
nei momenti dei primi addii
che preferivo perdere
e avere cose da dire
e tu che ci credevi
e rimanevi sola nelle tue convinzioni
anche se io non sono mai stato capace di amare
mi tenevo fermo per stare a sentire
i tuoi richiami dalle isole britanniche
i greggi di bambini che dovevi tenere d'occhio
e poi saresti partita di nuovo
e io sarei rimasto da terra a guardare la tua scia
come un razzo di salvataggio nel cielo nero.

Faye Goddard.

Quando tornerai dall'estero. Le luci della centrale elettrica.
.

Dal vostro corrispondente sul campo. Fronte ALto Fest. ore 10:27. 3°giorno.

Durante il festival si stanno consumando speranze
condividendo sogni
consolidando amicizie che si spera possano restare
la presenza di artisti diversi
pone le basi per la voglia di lavorare insieme
ti permette di vedere le opportunità all'orizzonte.
Farne parte
proprio adesso che tutto ciò che mi resta è la scrittura e un po' di soldi
mi appare davvero un privilegio
e mi paga la scelta di aver tenuto duro tutti questi anni.
Incontrare questi uomini e queste donne di tutte le età
che come te hanno fatto questa scelta
ti fa sentire parte di una resistenza silenziosa
e gioiosa con in mano la baionetta della parola
ti fa sentire che anche così si può stare
e che forse è davvero il momento giusto per lanciarsi nel vuoto
e provare a nuotare in questo mare.


Pier Angelo Consoli.

Aghia Sophia. CCCP.

sabato 7 luglio 2012

La repubblica di AltoFest giorno 2° ore 9:07.

Il secondo giorno di AFST si apre con la Cambogia del giorno prima
ieri c'è stato il classico After Fest dove gli artisti e il pubblico si sono
incontrati per festeggiare
cosa che accade tutte le sere a quanto pare.
Io sono stato l'ultimo ad abbandonare
insieme al ragazzo dell'AKRCollettivo siamo saliti sul tetto
nemmeno mi ricordo per vedere cosa
ah si
per vedere se c'era una brandina e se si poteva dormire lì.
Ho ritrovato molti amici
come Adriana Dell'Arte che ormai è come un'inquilina
e Serena Gatti che a quanto pare
per essere qui ha fatto il viaggio con gli ergastolani.
Nella cucina di AFST oggi c'è più gente di ieri
praticamente ho come l'impressione che dormano tutti qui
e proprio non so Anna e Giovanni dove li sistemino,
forse hanno stanze sotterranee in cui non ci è permesso entrare.
Marta Hryniuk sta lavorando a un murale enorme che coprirà praticamente
una facciata della casa
credo che quando sarà finito si vedrà dalla strada
come una di quelle case fighe di Berlino.
In realtà si direbbe qui non sembra di stare a Napoli
ma forse semplicemente
Napoli sta cambiando
e si scopre meglio di quello che si dice in giro.

Pier Angelo Consoli.

venerdì 6 luglio 2012

La Repubblica di AltoFest. Il vostro inviato. Ore 14:26.

Il Bello di AltoFest è che è un circo dove i funamboli mangiano con te
li osservi mentre si preparano,
mentre scherzano tra loro e si parlano.
Il bello di AltoFest è il clima che si respira
vedere Antonino Talamo e Marco Tizianel scherzare nella mia cucina
come se fossero amici da una vita
stare in un sotterraneo e avere il piacere di vedere un film tutto per te.
Io sono molto fortunato perché al Luna Park ci vivo
chi lo ha creato ed escogitato sono i miei padroni di casa
e ora che lo vedo capisco che non dormire per mesi
valeva davvero la pena.
Amo stare in mezzo a questo baraccone
muovermi nelle stanze e nel bagno 
e vederli tramutati in altri luoghi
il mio bagno stamattina era Padova
e lo scantinato una sala cinematografica.
Il bello di Altofest è vedere quanto siamo vicini
capire che lo stivale è un paese
e ci capiamo tutti
vedere che la Cerignola di Giuseppe Valentino
è la mia provincia di Caserta
è Castel Volturno
è Mondragone
coi lagher per gli immigrati
con le Madonne e i politici tutti uguali.
Ci siamo messi a ridere mentre vedevamo le sciagure
della sua e della mia terra.
Il bello di AltoFest è che si ride un sacco
e c'è un sacco di voglia di parlare
non ti sembra nemmeno di stare in Italia
nemmeno di stare in Europa
ma di stare nella Repubblica autogestita di AltoFest
che per tre giorni ha regole sue
come in una bolla.

Pier Angelo Consoli


giovedì 5 luglio 2012

Partire verso altre isole, penisole e nuovi mondi.

Ultimamente le cose cambiavano con la avelocità del battito delle mani
come quando avevo dovuto spiegare la durata del dolore del piercing
al mio nipotino di tre anni
e gli avevo detto tu conta uno e io dico aia.
Ero felice che per tutti il motore si fosse messo in moto
e anche per me molte cose stavano accadendo
ma perlopiù io mi sentivo quello che era chiamato a registrare
a tenere tutto insieme e la cosa non mi dispiaceva
che altro non ho mai saputo fare nella vita se non questo.
Eravamo tutti in quella fase della vita in cui non si poteva più stare fermi ad aspettare
le cose non sarebbero più successe per noi e dovevamo darci una mossa
e purtroppo vivevamo in uno di quei posti bellissimi
in cui però non potevi stare se non per guardare
perché dovendo lavorare sapevi che le opportunità erano sempre altrove
e ci sembrava di doverci quindi sparpagliare in tutto il continente.
Forse un giorno saremmo tornati tutti nella nostra città
o ci saremmo tutti incontrati altrove
ma adesso non ci restava che separarci
come apolidi ebrei tenuti insieme da certe tradizioni
per poi incontrarci nei passaggi
e raccontarci come va.
Non restava che abbandonare certe piacevoli quotidianità
per rincorrerne altre
e non sarebbe stata la fine del mondo
ma solo lo schiudersi di mondi altri
con un po' di paura
e tante speranze.

Faye Goddard.

Malancholy Hill. Gorillaz.

mercoledì 4 luglio 2012

Rincorrere i sogni ci ha sempre portato fortuna.

Era arrivato il momento di fare sul serio
non avevo più scuse
mi alzavo la mattina all'alba e sapevo cosa dovevo fare
quale toro prendere per le corna
e verso quale equatore dirigere la mia rotta.
Mi svegliavo contento
fischiettando come un uccello
e anche se quelli veri si davano il gomito e mi prendevano in giro
io mi aggiravo ballando alle sei e mezza nella mia cucina
e non me ne poteva fregare di meno.
Riacquistavo slancio
mi sentivo di nuovo forte e in buona salute
mi stavo dando da fare
e certo che non avrei potuto mangiare insalate di refusi
e tazze di capitoli
presto sarebbe arrivato il momento di fare i conti davvero con la povertà
ma il fatto di dover tirare per forza fuori una lira
da questo lavoro
non mi spaventava
mi sentivo pronto
giovane e forte
come un eroe.


Faye Goddard.

Gli uccelli alle sei di mattina sono più sciolti.

Una strada per nessuna parte.


Passarono, cadendo, stelle, invano e lui non se ne accorse.
Dormiva mentre tutti noi ci accecavamo
negli estivi giorni propizi per accaparrarcele.
Strisciavano morenti e parevano cuori di bue lanciati in un buio stagno sassoso
legati a un filo elettrostatico.
Assorto, oltre il vetro, non si accorge
non zavorra le sue storie e lascia che passino
ma i personaggi sono aria da freddare.
So che non è poi così reale la fretta, che è troppo giovanile e scontata
e affondo certe volte in una gioia di zolfo
ma poi tutto passa.
Invisibile, insensibile e presente
il profumo alle narici non lo vedi arrivare
tutte le volte ti sorprende
la gioventù resta fame di un adesso che è quasi toccare
e tutto genera gastrite che ti lavora come al tornio.
La rinuncia avrà sempre un premio.
Questo schioppo di gioia, questa mia piccola indisciplinata
un mio colpo ridicolo, un rimando suicidio.
Colpiscimi come sotto una coperta
come una tortura sovietica per parassitismo
stretto in un lenzuolo bagnato, per non lasciare i lividi.
Non hai tracce addosso, niente segni, ma sei sicuro?
Spesso tutto il male sembra che me lo sia sognato.
Quante volte avevo pensato di non voler mai essere esistito.
Vicini senza parlare, poi Pavel scrisse che voleva sapere a cosa stessi pensando.
Dissi niente, non pensavo davvero a niente che si potesse definire.
Non si può davvero non pensare a niente, scrisse.

Faye Goddard.

Nessuna canzone o suono, per scelta.

domenica 1 luglio 2012

Barche a vela. Mongolfiere. Abbellezzare i numeri.

Era incredibile come tutte le volte finivamo
in posti che non avevamo preventivato
che fossero sagre dell'elettronica
tetti d'alberghi
o barche a vela
non faceva differenza
noi ci limitavamo a dire di si
sempre con la borsa a sacco sulla spalla
i documenti sempre in tasca come a dire
sono pronto per partire
ed era questo il solo modo che conoscevamo per farne parte
di rispondere presente all'appello con la giovinezza
e a tutte le sue forme.
La prossima volta ci ritroveremo su una mongolfiera
ti dissi mentre tu mi sorridevi
e ripensavi alla giovane Ada che di mestiere voleva fare la Fattora
e si era convinta che gli zeri ad altro non servissero
che ad abbellezzare i numeri.
Niente ci serviva se non un paio di occhiali da sole
e i nostri fondi cassa improvvisati
ed era bello sapere che se non fosse stato un aerostato
comunque sarebbe stato un posto o una situazione che avremmo ricordato.
La crisi ci teneva due mani sulle spalle
ma noi riuscivamo a svincolarci e a sentirci
quasi adatti a fare qualsiasi cosa
quasi adatti a risolver tutto con una rapina in banca
e poi mi piaceva pensare
chissà dove e come e all'ombra di quale ricordo
mi sveglierò con te accanto la prossima volta
e la cosa mi permetteva di dormire
meglio di qualsiasi busta paga a fine mese.


Faye Goddard.

Quasi adatti. Tre allegri ragazzi morti.