mercoledì 31 ottobre 2012

Manuali di sopravvivenza.

bere alcolici massimo 2 volte a settimana
mangiare il piu sano possibile e con meno glutine possibile
almeno due volte a settimana passeggiare la mattina presto, ma molto presto, vicino al mare
studiare francese
ascoltare wolof
uscire la sera massimo due volte a settimana ( a meno che non ci siano feste, compleanni, concerti imperdibili)
trovare un lavoretto
capire come recuperare i miei soldi
leggere almeno un libro ogni due settimane e andare al cinema anche
non dimenticare le parole Di Elisabeth
imparare a fare il pane.

Carmen Spiniello.


mercoledì 24 ottobre 2012

Come fiori nati a Hiroshima nascevano le riviste letterarie gratuite.

Nascevano le riviste letterarie
le intenzioni si univano per carburare
per non perderci
e non sarebbe stata del tutto una rivoluzione
ma comunque un cambiamento
nascevano come fiori a Hiroshima
i reading per starci vicini
e nessuno che ci pagava mai
una generazione autoprodotta
per non smettere di urlare
per un malinteso senso del progresso
vienimi a prendere alla stazione di Roma
ti aspetterò con le poesie nella borsa
sventolandole come petizioni per la bellezza
la notte prima di andare nel letto a scieglierle
e noi tutti che avremo fatto qualcosa
che un giorno
ne potremo scrivere
nel ciclostile di quei giorni
nessuno potrà dire domani
furono tutti uguali.


Faye Goddard.

Prima di dire auguri alla giovane rivista del padre di Caino.

domenica 21 ottobre 2012

Numeri.



L’odore impregnato nella pelle. Le luci si nascondo lasciando spazio al giorno, dietro con ordine si spengono, senza paura. Guardo il mondo girare sopra un bicchiere e mi rendo conto che la felicità gira sopra un ritmo balcanico. Perennemente siamo li, a guardare ed ammirare l’ultima nostra pazzia. Raggiungere un numero perfetto, quello che ci mette sopra la piramide, che ci regala una cintura, quello che ci porta a contare in ordine. Mi sveglio con la voglia di contare, di mettere ordine, di sentire le pulsazioni fino alla gola ma sempre con ordine. La prima cosa che ricordo fu una teoria della vita, non pisciare ovunque, poni un equilibrio, conta i passi. Camminai e diventai grande contando: una pecora si una pecora no, una pecora si e una pecora no. Ma puntualmente per una sfortuna mi trovavo con un numero mancante. Certo pensare che il mio codice era quello a poche cifre, quello che veniva regalato ai poveri mi  dava una sorta di ribellione. Era stampato dietro le mie spalle. Le spalle, che creazione divina regalata dall’innominabile, per le tante tipe. Le mie spalle da piccolo le guardavo mentre si formavano, mentre crescevano, mentre raggiungevano la forma dell'uomo grande e pregavo...pregavo che tante labbra si fermassero li, stampate. Volevo fermarmi, volevo raggiungere la perfezione, essere ciò che ogni donna desidera, essere in loro. Come sempre una questione di numeri, una matematica in cammino, un conto all’infinito. Ma poi diventi grande, e i tuoi numeri iniziano a scomparire. Devi essere bravo a raggiungere il cinque. Il cinque è il moto di noi mediani, di noi sognatori cementificati. Anche la forma del cinque è perfetta, mezzo cerchio e una mezza linea dritta. Tutto mezzo, tutto si ferma prima di arrivare all’apice. Anche noi sognatori ci fermiamo sempre li, sempre in un mezzo tramonto e una stella pronta a nascere. Sempre a promettere di arrivare alla fine, per primi, di essere per una volta sola i capitani della nostra nave. Maratoneti della nostra vita. Ogni giorno svegliarsi con un sogno, con la voglia di bere per la vittoria, per le trenta volte di orgasmo, per i tanti numeri che portiamo a mente, per i conti da pagare con i pochi spiccioli. Numeri e numeri che danzano nei nostri battiti, solo per farci diventare grandi.

Shpati
 
Après la Classe - Un Numero

venerdì 19 ottobre 2012

Non capirò mai chi viene dalle montagne, è più forte di me, ncia facc...

Tutte le persone che vengono dalle montagne, quelli che ho conosciuto io, non vedevano l'ora di ritornarci. Soffrivano la distanza dai loro piccoli paesi arroccati da qualche parte, posti in cui non ci sta niente e io non ho mai capito tutta la loro nostalgia. Scendevano nelle città vicine per studiare o per fare qualcosa che ovviamente non potevano fare nei loro paesi, ma appena avevano un secondo ci tornavano e soffrivano la distanza come cani abbandonati.
Che poi ci sta sempre quello che dice "fanno bene, e vedi tu... là si sta bene..."
"ma bene a fare che? Il formaggio? Ma levt a miez..."
Noi, forse perché si veniva dalla pianura, non lo so, però ce ne siamo scappati con la stessa velocità con cui quel pazzo di Baumgartner si era fiondato sulla terra.
Scappavamo dal paese a tremila chilometri orari, come una fionda e col cazzo che ci volevamo tornare, ci dovevano venire a prendere le camionette.
I nostri genitori imploravano al telefono la nostra presenza che tutte le volte accettavano con una gratitudine pari alla pioggia per gli africani, era na cosa rara vederci a tavola la domenica, benediciamo il pane, facciamo na preghiera, è tornato.
Così la prima domanda che ti facevano non è mai stata come stai, ma quando te ne vai?
E quando tu dicevi domani o addirittura stasera, facevano sempre la faccia
Anna Magnani in mamma Roma.

Continua...

Faye Goddard.


Eddie Vedder, qualcosa non so cosa...

mercoledì 17 ottobre 2012

La letteratura ti ha fottuto!

In quello che scrivi ci sono solo ricordi
disse
e io non potei che restare in silenzio, nella mia solitudine
che mai mi aveva abbandonato
con tutte le paure di non provare più niente
di essersi inceppati in una fase precedente della vita
in cui avevo sofferto molto e mi ero promesso come un mantra
che non ci sarebbe mai più stato lo stesso me
e come un esorcismo mi liberai da tutti i mali
e il male peggiore me lo ero inflitto io
perché senza soffrire io nemmeno riuscivo ad amare
solo con la voglia di sparire
cercando di perdonarmi di essere fatto così male.


Faye Goddard.

sabato 6 ottobre 2012

Ma che ce frega, ma che ce mporta...

Vivevamo come i protagonisti di certe canzonacce romanesche
cantate da Nino Manfredi
con l'abbacchio, le galline,
e i ma che ce frega, ma che ce mporta...
Eravamo arrivati a congegnare sistemi per mangiare sempre
tutti insieme così da dividere il cibo
e lettere alla Fao offrendoci come cavie
per la sperimentazione sul cibo geneticamente modificato 
dal momento che ci erano rimasti a stento i soldi per pagare
l'affitto delle stanze singole che occupavamo
sparpargliati nella città.
Eppure pareva proprio che ci bastasse poco per sorridere
nella clandestinità s'impara a fare a meno
che le cose di troppo rallentano
la bellezza e i nostri tutto sommato
pochi anni su questa terra
nessuna crisi globale ce la potevano togliere.
Un computer da cui tirare fuori musica come carillon
il vino in offerta
e qualcuno da pensare come l'uomo o la donna
che inseguivamo da una vita
per il resto qualcosa sarebbe accaduto
come un meteorite di felicità
o un editore, almeno per me, che mi tolga 
dalla strada.

Faye Goddard.

Pezzali. Unorsominore. 

giovedì 4 ottobre 2012

Tutta la verità, Valentina...

Da quando Fago era andato via, non potendo più mettere piede in casa mia per ragioni su cui preferisco soprassedere, la mia casa si era tramutata in una Babele.
Ci eravamo ritrovati con due giapponesi che da Kioto si erano trovati a Napoli come prima esperienza fuori casa. Tu dimmi se uno che ha sempre vissuto con sua madre a Kioto tu lo prendi e lo porti a Napoli, francamente temo che possano finire sotto le macchine o che come minimo gli rubano pure gli occhiali dalla faccia. Satoru e Helio non parlano nemmeno l'italiano, ne masticano giusto un pezzettino ma niente di più e non parlano ingelese, sono fottuti, punto. Poi ci sta Nev un simpatico angloindiano proveniente da Bristol convinto che per ragioni generazionali nel suo sangue scorra whisky.  Per fortuna Nev parla inglese. Poi c'era l'immancabile Alban che quando si metteva a parlare con i parenti in Albania ti pareva pure di cogliere certe parole, ultimamente io avevo capito "Capitone" per esempio, ma poi ci ho pensato e mi sono reso conto che era impossibile che stesse da ore a parlare di capitoni con sua madre a Skutari, anche se con Alban tutto può essere, sempre.
Al momento sbarcavo il lunario con gli aperitivi del giovedi e parlando in inglese con un bambino di quattro anni cercando di far entrare un qualche vocabolo in quella piccola testolina indifferente e ribelle. Ma non riuscivo che a fare i soldi per una buona bevuta, per il resto non potendo smettere di fumare avevo deciso di risparmiare sul cibo, un pasto al giorno, e ammetto che a volte nemmeno quello. Ascoltavo Max Gazzé e più precisamente la canzone Valentina. Ma chi cazzo è sta Valentina? Boh. In ogni caso ero felice e mi piaceva guardare la mia ragazza, che assolutamente non mi perdona di pensarla già come la mia ragazza, che la mattina si vestiva per andare, almeno lei, a lavorare. Io che restavo ancora nel letto mi sentivo la schifezza dell'uomo, ma infondo mai ho avuto la pretesa d'essere migliore di un orango, migliore di quello che sempre sono stato.

Faye Goddard.

Valentina non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...