martedì 17 dicembre 2013

Scrivere.

Scrivere è la cosa che fai in silenzio
mentre vivi la tua vita segreta
mentre tutti dormono o sono da qualche parte
e non ti possono vedere.
Scrivere è proprio questo:
Non essere visti.


Pier Angelo Consoli.

lunedì 16 dicembre 2013

La corsa per diventare santo.

Ti direi che non c'è niente che non va
e saprei mentirti troppo bene
qualcuno trova la fede
io ho trovato un prete a cinquanta euro l'ora
mi ha prescritto un esercizio per dare un nome alle emozioni
se faccio progressi?
Per ora sono un cervo coi fari puntati in faccia.
Ho a casa un pacco pieno di sconfitte
non voglio che lo aprino
so cosa contiene ma voglio vedere coi miei occhi.
Non so cosa dire degli avvocati
se non che ne ho due in famiglia e non li vedo mai.
Mi pare di capire
che tutte le sciocchezze su che cosa sia un uomo
non siano ancora passate di moda
ho il cappotto lungo e nero e le scarpe a punta
leggo giornali stranieri
si vede che mi piacciono molto i panni sporchi in casa d'altri.
Anche quest'anno mio nipote di cinque anni gioca a fare la diva
recita di natale, caro Charles
se ne annuncia la presenza, non è detto che ci vada.
Come vedi non ha preso da suo zio...
Per il resto il freddo mi aggredisce
e non so se è cambiato il mondo o sono cambiato io
ma scrivo a matita e saluto con garbo
bevo molto poco e lascio le feste per primo
sono stato due volte in chiesa il mese passato:
faccio la corsa per diventare santo...


Pier Angelo Consoli.

lunedì 9 dicembre 2013

Televisiva.

Non mi hai visto?
Stavo cadendo a pezzi.
Ero un ragazzo bianco in un gruppo di ragazzi bianchi.
Ma mi vedrai sul terzo canale, roba di un mese.
La versione televisiva di una persona dal cuore spezzato.
Non mi hai visto?
Stavo cadendo a pezzi.
Ero un ragazzo bianco in un gruppo di ragazzi bianchi
e un sogno che avrebbe piegato la schiena di una formica.
La versione televisiva di una persona dal cuore spezzato.
Se n’erano andati tutti
le luci si spengono anche se hai ancora la cipria sul naso.
Ero lì per strada
in piedi
un libro sotto al braccio
provando a non mettermi a ridere.



Pier Angelo Consoli.

mercoledì 27 novembre 2013

2060


 

Dal cielo pioveva merda marrone. Questo era il modo che aveva il mondo per dirci che avevamo esagerato.
Un grattacielo luminoso scandiva il conto alla rovescia, presto sarebe stato il 2060.
La piazza era semivuota. Pochi nasi alti al cielo viola, sotto ombrelli di plexiglass.
La merda pioveva a fiotti e faceva il rumore delle rane che si spiaccicano al suolo.
Negli anni trenta era finita la guerra. Un conflitto battereologico che aveva visto Cina e America contendersi il pianeta. Era finita per sfinimento, avevano perso tutti.
Le bombe nessuno avevano quasi annnientato il genere umano.
Le città erano rimaste intatte, enormi e vuote.
Dopo la seconda guerra mondiale le vecchie bombe avevano raso al suolo intere città, di Dresda era rimasta cenere come suolo lunare.
Per ricostruirle era servito un capitale. Adesso a morire erano state solo le persone, bisognava ripopolare, e questo era gratis.
Eravamo tornati al secolo precedente, una cosa tipo gli anni novanta. Il futuro c’era stato e a un certo punto avevamo persino immaginato che le macchine sarebbero volate, che ci saremmo teletrasportati e avremmo vissuto più a lungo. La guerra si era portata via tutto.
Per anni avevamo cercato di vivere come se non ci fosse un domani, ma gli uomini fanno fatica a restare lontani dalla lungimiranza e dalla speranza.
Il globo era rimasto orfano. Pochi milioni di persone abitavano tutta la superficie calpestabile. In seguito al trattato di Pechino il globo era stato diviso in due zone d’influenza, oriente con capitale Pechino e occidente, con capitale New York.
I capi di stato erano due. Si votava ogni dieci anni attraverso un sito internet, ma eravamo così pochi che avremmo potuto votare per alzata di mano.
La notizia del giorno era un uomo morto ai mercati generali. A quanto pare le persone avevano ancora voglia di farsi fuori.

lunedì 28 ottobre 2013

3 righe.21 parole.

La scrittura è sempre stata la mia stella polare
e non si è mai girovaghi
quando s'insegue il proprio destino.



Faye Goddard.

giovedì 24 ottobre 2013

Poesia-Dedica


Mentalità non è promessa,

non basta un attimo per ottenerla,

la si può solo costruire nel tempo

e quasi senza sapere come,

sbagliando ed imparando.

Basterebbe invece un attimo per perderla,

vendendosi il pensiero per una meschina menzogna.

Amico mio,

non si può giurare fede

ad un dio bugiardo,

Dio è unico, immenso, infinito

e non mente mai,

per questo la meravigliosa vita

può sembrarti anche molto triste

{e viceversa}.
  
                                                                    Francesco Ottiano.

mercoledì 23 ottobre 2013

Spazio/Tempo.

Nel rapporto fisico tra il tempo e lo spazio, i due gemelli eterozigoti dell'esistenza, tutti hanno sempre prestato maggiore attenzione al gemello frivolo, quello affascinante, esile, intelligente e intrigante, profondo, il tempo.
Pochi si sono appassionati all'immutabile, il granitico, il pragmatico, mai relativo spazio.
La verità è che col tempo ci puoi giocare, si può sognare sul tempo, lo relativizzi, lo frammenti, lo segmenti, lo spazio invece quello non lo puoi fregare, un metro quadro sarà sempre un metro quadro, a ogni latitudine, in ogni momento.
Il tempo lo puoi fregare, ma lo spazio sarà sempre lì che ti aspetta. Non ci sono stringhe o dimensioni sconosciute che tengano, lo spazio sta lì, lo si può perdere o acquistare, ma potrai sempre farci i conti, la superficie che si occupa resta immutata, come la prova stessa dell'esistenza di un qualcosa.
Il tempo non ci offre nessuna certezza.



Faye Goddard.

mercoledì 9 ottobre 2013

NUOVO VIDEO BELEN NUDA!!!!!!! GUARDA!!!!!!



ERA UN ESPERIMENTO
SE HAI LETTO QUESTO MESSAGGIO
SIGNIFICA CHE
A: SEI UN ARRAPATONE
E
B: CHE AVEVO RAGIONE.


A PRESTO.

lunedì 7 ottobre 2013

Regole.

Le regole non sono state inventate per disciplinare le persone, ma per scoraggiarle.
La regola, il regolamento, il codice, il buoncostume, il galateo, la normativa...
Chi sente di non avere altra scelta non potrà fare a meno di non vedere la norma, d'ignorarla, di abbraccaire le conseguenze, di sobbarcarsele.
Sarà inutile diversamente. Non riuscirà a mettere a tacere il rimpianto.
Chi si attacca alla regola cerca una giustificazione alla propria codardia, all'arrendevolezza.
E forse perché si appartiene a quella parte dove le regole si guardano con sospetto, perché nel tempo quasi mai sono state applicate tenendo conto della diversità, dell'eccezione che si è. Non è l'anarchia il punto, la soluzione.
Le regole ci devono essere perché è necessario trovare una soluzione per aggirarle.
Allo stesso modo è necessario che ci siano perché le persone corrette possano sentirsi al sicuro.





Faye Goddard.

venerdì 2 agosto 2013

Certe cose non ve le posso spiegare ma dare così come ci furono date. Lester Bangs.




Vi dico solo che Lester Bangs non è solo il più grande critico musicale che sia mai apparso sulla faccia della terra, ma è colui che l’ha inventata la critica musicale. Un impossibile, ingestibile, assolutamente non inquadrabile genio. Non ve lo dico solo perché lo adoro, ma leggetevi libri come Guida ragionevole al frastuono più atroce e poi ditemi se vi riesce di chiudere la bocca e non finire col parlare sempre di lui, solo di lui e di quello che aveva detto lui. Vi giuro che c’è stato un periodo in cui avrei voluto legarmi questo libro con una cordicella al collo per poterlo citare a manetta. Pensavo sul serio che non ci fosse argomento in cui si potesse fare un’osservazione che lui non avesse già fatto con la più acuta ironia e lucidità.
Si uccise, col Quaalude e un sacco d’altra roba chimica. Morì in disgrazia e povertà, vittima di scelte radicali. Ci sono persone cui devi dare una guerra da combattere se vuoi che respirino, Les era una di queste.
Per uno di quei misteri delle poste, l’amico Dave Marsh ricevette questa lettera nel gennaio del 1986 poco dopo la sua vera morte. La lettera la cito per intero perché ne vale la pena e mi schiatto di risate tutte le volte che me la rileggo, ma non posso fare a meno di commuovermi, al contempo:
Marsh-
Hai presente quella menata che “se esiste un paradiso del rock, di sicuro hanno un gruppo della madonna?”. Be’, non crederci amico mio.
Tutto il talento è finito dritto all’inferno. Proprio tutto. Qui le attrazioni più grandi sono Jim Croce, Karen Carpenter, Cass Elliot e – soprattutto- Bobby Bloom! È un incubo! Cazzo, se mi tocca riascoltare un’altra volta “Montego Bay” mi suicid… (ecco, vedi, me lo dimentico sempre.)
Ad ogni modo, faccio domanda di ammissione all’inferno ogni sei mesi ma continuano a respingermela, perché secondo loro – beccati questa- sono troppo buono! Scrivigli e spiegagli un po’ come stanno le cose, per favore. Digli che razza di stronzo so essere quando voglio, Dì alla Uhelszki di farlo anche lei. E a Marcus. (A proposito mettilo al corrente di quanto apprezzo che si stia scervellando su tutti i miei vecchi arzigogoli.)
Appena arrivato ho conosciuto Dio. Gli ho chiesto perché . Sai com’è, a soli 33 anni, eccetera. Ha detto solo : “MTV”.
Non voleva che mi toccasse sciropparmela, di qualsiasi cosa si tratti.
Devo scappare, sul serio. Sta arrivando un altro armento di anziani apprendisti arpeggiatori. Che suonano “Stairway” degli Zep, naturalmente. In sta città del cazzo è l’inno nazionale. Non c’è nessuno che conosce gli Elgins, non capisco perché. Dammi retta, Dave. Il paradiso era Detroit, nel Michigan. Chi lo avrebbe mai detto?
Tuo per l’eternità, Bangs.  



Pier Angelo Consoli.

mercoledì 31 luglio 2013

Esplosioni nel cielo da non ascoltare in macchina. Explosions in the sky.






 
 Se sei sull’autostrada di notte ti conviene spegnere. Gli Explosions in the sky ti farebbero deragliare. E lo dice uno che per un’estate intera ha macinato chilometri con i Sigur Ros nell’autoradio. Un’amica me li ha suggeriti e io ho scaricato la discografia per intero. Va precisato che io non amo i pezzi da dieci minuti solo strumentali senza una cazzo di traccia vocale che ti guidi. Mi fanno scendere le palle fino al pavimento. Questi poi mi ricordano moltissimo certi album dei Giardini di Mirò. Credo sia Progressive, se proprio mi sento costretto a specificare un genere d’appartenenza, questa è musica utile per scrivere, nel senso che parti per i cazzi tuoi e nella trans creativa te li scordi, però ti catturano e ti fanno compagnia, all’improvviso rinvieni e capisci che questo cazzo di album ti piace, non sono i Sigur Ros, capiamoci, non è un portale per un mondo altro fatto di neve, che grazie a quegli stronzi di finlandesi tu vedi con i tuoi occhi e ti viene proprio freddo, i Sigur Ros sono dei geni bastardi in certe cose, ma queste esplosioni nel cielo non sono affatto male ed è proprio questo quello che vedi se chiudi gli occhi, piccole fiammelle che si schiudono vicino alle stelle, nella prospettiva delle stelle. Uno dei pezzi dell’album si chiama First Breath after Coma e il primo minuto e mezzo è solo intro, poi devo dire che si riprende alla grande, e la batteria stile marcetta è una cosa che su di me fa sempre presa, ma sono i riff di chitarra che sono proprio belli. Questo è decisamente il mio pezzo preferito. Bello è anche Your hand in mine, questo piace tanto alla mia amica e forse lo userò come tappeto per il blog, non lo so. Sicuramente è adatto. Lì stò cercando di creare un mondo piccolo e perfetto, mi serviranno crepacci nel cielo, tre o quattro frecce, come in Coda di lupo, le ho trovate come stelle con la coda.   


Pier Angelo Consoli.

martedì 30 luglio 2013

Lo chiamano l’Iguana, voi potete chiamarlo come vi pare. Iggy Pop e Ray Manzarek.





Lo sapete perché presero a chiamarlo Pop? Una volta sua madre gli disse di tagliarsi i capelli e lui lo fece. C’era in mezzo una promessa del tipo se te li tagli ti regalo una chitarra o qualcosa del genere. Lui se li tagliò con la lametta e già che c’era si tagliò pure le sopracciglia. Finì che assomigliava allo scemo del paese, che appunto si chiamava Pop. Da allora Iggy Pop. Si sarebbe potuto chiamare Iggy Cesso in base alla stessa parabola nominale.
Prima che Iggy Cesso entrasse a far parte degli Stooges, Ray manzarek suonava negli Stooges, dopo i Doors naturalmente. Avevano bisogno di un cantante e il caso volle che Ray e Iggy avessero un amico in comune, tale Danny Sugerman, che di mestiere faceva il manager o qualcosa del genere. Sapete a quel tempo se non sapevi suonare proprio niente allora facevi il manager, l’industria discografica era come una verginella ubriaca su una nave pirata, tutti volevano fotterla e lei fotteva tutti. Allegramente. Così il nostro Danny dice a Ray che ha l’uomo giusto solo che si sente di avvertirlo che si tratta di un ragazzo alquanto ingestibile. Ray dal canto suo risponde che ha vissuto con Mr Ingestibilità in persona e se è riuscito a gestire Jim Morrison, allora questo Iggy non può fargli paura. Altro problema da risolvere era che in quel momento Iggy era in galera. Era stato trattenuto per ubriachezza molesta. In realtà poi si scoprì che Iggy non era proprio ubriaco ma fatto di Quaalude, un sonnifero abbastanza potente, per capirci fu una delle cose che trovarono nel corpo morto di Lester Bangs. Per poche centinaia di dollari riuscirono a tirarlo fuori, Iggy uscì vestito da donna e a stento si teneva in piedi. Va detto anche che a quel tempo gli Stooges non erano ancora una vera band, con una precisa identità musicale, erano solo dei musicisti con qualche canzone che dovevano provare. Quando sembrarono pronti per provare aspettarono una mezz’ora che Iggy scendesse dal piano di sopra, e quando scese si accorsero che era nudo. Ray gli fece notare che non essendoci ragazze in giro era inutile che se ne stesse senza vestiti, che almeno si mettesse una mutanda o un tanga, cosa che Iggy effettivamente fece. Glielo avevano detto a Ray che Iggy non era un tipo facile e Ray aveva fatto il suoperiore con la storia di Jim, eppure il Re lucertola era riuscito a sopportarlo per anni, con questa Iguana la cosa non durò che un pomeriggio. Manzarek si giustificò che nella musica che gli Stooges volevano fare, e che poi effettivamente fecero, non c’era posto per l’organo, poi attaccò tutta una pippa sull’armonia degli istinti Junghiani, sul superare il limite ma con meditazione e ponderazione, insomma nessuno ci capì un cazzo ma una cosa la capirono: “me ne vado” disse “c’è mia moglie in macchina che mi aspetta.”

Pier Angelo Consoli.

lunedì 29 luglio 2013

Animali domestici e Albun bianchi. La strana storia dei Beach Boys e dei Beatles.






C’era un oceano in mezzo, di acqua e di sonorità, un oceano culturale. Oggi diremmo che i Beatles e i Beach Boys sono stati dute tra i più grandi gruppi della storie della musica, ma all’epoca erano solo due tra i più grandi gruppi del mondo. C’è stato un tempo in cui appartenere a questi gruppi significava sana competizione e rispetto. Un po’ come se i Gallagher non ci rompessero le palle con due band praticamente identiche e capissero il significato dei capelli grigi e dei peli sul cazzo, e cioè che la fase dell’adolescenza è finita da un pezzo.
Quando Brian Wilson, leader di quella band famiglia che erano i Beach Boys, ebbe tra le mani Rubber Soul capì che era stanco della musica surf, stanco di scrivere canzoni sul sole della California e  sui tipi da spiaggia. Quello che disse è “voglio fare anch’io una cosa così.” In procinto di partire per il Giappone, per una tourné, comunicò agli altri che non sarebbe partito, che lui restava, perché aveva questo sogno da inseguire, restando fermo, in studio. Brian Wilson era leggermente sordo a un orecchio e per mesi si ritirò a scrivere canzoni, molte canzoni, a giudicare dal prodotto finale. Quando gli altri Beach Boys tornarono, lo trovarono immerso nelle partiture. Lui distribuì i fogli e diede istruzioni. Aveva un’orchestra nella testa, un’orchestra talvolta fatta di sole voci a cappella. In breve incisero uno degli album più influenti e importanti della storia del pop rock, il suono prediletto, quello degli animali domestici, il Pet Sounds, appunto. Quando l’album attraverò quell’oceano finì nelle mani dei Beatles e quando lo ebbero ascoltato pure Lennon e McArtney pensarono “voglio fare anch’io una cosa così” e quando ebbero finito di lavorare presero tutte le canzoni, molte canzoni, a giudicare dal prodotto finito, e lo chiamarono Album bianco, White Album, appunto.


Pier Angelo Consoli.