sabato 22 giugno 2013

Esuli.






Mi disse che le donne di Marrakech erano diverse da come uno se le immagina, molte non hanno il burqa, la faccia scoperta, i bambini per mano, nei mercati affollati. Mi parlava in lunghe lettere di scialli rossi, dei simboli nelle piazze e delle proteste contro il governo di cui da noi non si parlava affatto. Non ho mai capito cosa ci fosse finita a fare in Marocco e nemmeno trovò mai le parole per dirlo. Ci sono cose che teniamo nascoste al mondo per il bene degli altri o forse solo per paura che l’immagine di noi ne possa venire lesa. In ciò che scriveva cercava solo di rincuorarmi, mentendo, che presto le avrebbero rilasciato i documenti e che non c’era nulla da temere; ma io sapevo quanto si sentisse avvilita e spaventata per via di quel silenzio ostinato che solo i burocrati sanno esercitare.
Ingannava le giornate bevendo tè tiepido sulla terrazza del consolato britannico in compagnia di gatti silenziosi e dei suoi libri di psicoterapia. Il sole in Marocco, diceva, sembrava bloccato in mezzo all’orizzonte, costantemente del colore arancione.
Spesso si faceva vedere anche il console britannico che si sedeva sempre a un tavolo poco distante, dopo le ore di lavoro, con una bottiglia di Mescal messicano che beveva fino a far emergere il verme in superficie, e lei che si chiedeva se fosse un verme vero o di zucchero come aveva letto da qualche parte. Come tutti quelli che si lasciano possedere dai rimpianti il console era di poche parole, ma c’erano giorni in cui si sentiva evidentemente d’umore frivolo e raccontava piccole storielle ebree come quella che dice che persino un orologio fermo dice l’ora esatta due volte al giorno…
Anna diceva che anche quando provava ad essere spiritoso una vena troppo pesante e ingombrante s’impadroniva della sua voce. Per qualche ragione che trovava ingiusta era finito a rappresentare il suo paese a Marrakech.
Dialogando con se stesso ad alta voce una volta il console disse: «certe punizioni sono enormi, più grandi di qualsiasi cosa  di male si sia potuto fare. A volte si commettono certo degli errori, i posti sbagliati, le persone sbagliate, ma nessuno dovrebbe fare quello che non vuole fare…»
Disse poi che si sentiva come Ponzio Pilato, nella polvere, esiliato, lontano dalla sua gente e da quello che poteva capire, in Galilea.
Perché si sostanzia  di distanza e disagio, l’esilio può assumere innumerevoli forme e in qualche modo mi pareva che tutti noi vi prendessimo parte pur restando fermi, magari in patria, nelle nostre piccole stanze. Non c’era più Stato e poche cose davvero grandi a cui ci si potesse affezionare, il che creava una carenza amara molto simile alla rassegnazione. Avevo un amico Balcano in quel periodo che stava cercando di organizzare una specie di resistenza e per me che preferivo starne alla larga non aveva che sguardi di rimprovero. Mi sembrava di essere distante dalle ragioni di tutti e camminavo per le strade a Novembre come il vento che cercando casa soffia tra i palazzi. La logica da sola non riesce mai a generare il sentimento.
Tutto l’esilio per me era lei bloccata a Marrakech, aveva dimostrato di avere molta forza e io non abbastanza. Non c’era mai stata vita che non fosse la mia vita stessa e non trovavo senso nella collettivizzazione ma questo il mio amico proprio non riusciva a capirlo.   
Per lui era solo una questione di educazione, e forse era vero, chi lo sa, come se non fosse tutta una questione di educazione, di sangue e di coraggio, o di mancanza di esso il più delle volte.
Avrei voluto che Anna tornasse e dividere l’orizzonte con lei, la pioggia avrebbe bagnato i lunghi ciondoli che portava al collo e io mi sarei sentito a casa dopo tanto tempo.   



 Pier Angelo Consoli.
  

martedì 11 giugno 2013

Peter Laughner

La tranquillità è così rara, spesso
che niente si prende sul serio
hai attaccato alle pareti
polaroid di tutte quelle cose che non succedono mai
ed eri sinceramente dispiaciuto quando
"non posso venire" hai detto
e se c'erano tutti
sembra ancora che non ci sia venuto nessuno.
Tutta la vita hai rincorso quella vita
salutato con rispetto
mentre con gesti stanchi fingevi che non fosse il caso
che ti dicessero quelle cose che per anni, come lettere da un fronte nemico
avevi aspettato ai piedi del tuo letto.
Aspetterei che mi chiamassi
ma tu non lo farai
e le canzoni che hai registrato nel mio salotto
mi suonano lontane come i Carpazi
come il ricordo, lucido, preciso e netto
di tutte quelle cose ghiacciate nelle polaroid
che non abbiamo fatto mai.


Pier Angelo Consoli.

Peter Laughner. Baudelaire.