mercoledì 27 novembre 2013

2060


 

Dal cielo pioveva merda marrone. Questo era il modo che aveva il mondo per dirci che avevamo esagerato.
Un grattacielo luminoso scandiva il conto alla rovescia, presto sarebe stato il 2060.
La piazza era semivuota. Pochi nasi alti al cielo viola, sotto ombrelli di plexiglass.
La merda pioveva a fiotti e faceva il rumore delle rane che si spiaccicano al suolo.
Negli anni trenta era finita la guerra. Un conflitto battereologico che aveva visto Cina e America contendersi il pianeta. Era finita per sfinimento, avevano perso tutti.
Le bombe nessuno avevano quasi annnientato il genere umano.
Le città erano rimaste intatte, enormi e vuote.
Dopo la seconda guerra mondiale le vecchie bombe avevano raso al suolo intere città, di Dresda era rimasta cenere come suolo lunare.
Per ricostruirle era servito un capitale. Adesso a morire erano state solo le persone, bisognava ripopolare, e questo era gratis.
Eravamo tornati al secolo precedente, una cosa tipo gli anni novanta. Il futuro c’era stato e a un certo punto avevamo persino immaginato che le macchine sarebbero volate, che ci saremmo teletrasportati e avremmo vissuto più a lungo. La guerra si era portata via tutto.
Per anni avevamo cercato di vivere come se non ci fosse un domani, ma gli uomini fanno fatica a restare lontani dalla lungimiranza e dalla speranza.
Il globo era rimasto orfano. Pochi milioni di persone abitavano tutta la superficie calpestabile. In seguito al trattato di Pechino il globo era stato diviso in due zone d’influenza, oriente con capitale Pechino e occidente, con capitale New York.
I capi di stato erano due. Si votava ogni dieci anni attraverso un sito internet, ma eravamo così pochi che avremmo potuto votare per alzata di mano.
La notizia del giorno era un uomo morto ai mercati generali. A quanto pare le persone avevano ancora voglia di farsi fuori.