Juan
Orelledo osservava la pioggia d'estate. Non toccava l'asfalto, si prosciugava
prima.
La camicia
arrotolata fino ai gomiti, i pantaloni di stoffa lisa, la sigaretta spenta.
Una stella nera
dentro un cerchio riposava sul braccio sinistro.
Un passato che
poteva nascondere, impossibile da dimenticare.
La pistola era avvolta in uno straccio, non ci sparava più.
E' morto, si disse ed era quasi orgoglioso, come se avesse contribuito. Non a Granada, nella fossa comune. A Oviedo, nel suo letto. Felice.
Checca fino all'ultimo,
immaginò, perché non c’era stato ma lo conosceva, senza un prete. Fino
all'ultimo secondo, un uomo.
Dopo aveva
abbassato lo sguardo, dato un calcio alla terra che si era fatta polvere.
«Il tempo passa e
ci lascia da soli» sussurrò al vento come il vecchio che era, «la rivoluzione…»
Avrebbe voluto sputare, ma la gola era prosciugata, ai lati delle labbra increspate
due chicchi di riso. Anche solo averci provato, pensò, vincere e perdere
è per le macchine avrebbe detto a suo nipote, se solo ne avesse avuto
uno, la vita è esserci stato.
Pierangelo
Consoli.