lunedì 25 giugno 2012

Resistenza a oltranza.

Difendimi da tutti i mali
dai brutti sogni
dai brutti libri
difendimi dalle mie paranoie infinite
dagli attacchi di panico
difendimi dai gatti neri e dalle case popolari
dalla malinconia
dalla disperazione
difenidmi dalla troppa nicotina
dalle birre scure
dalle nuvole nere.
Difendimi e tienimi sempre almeno in un angolo della tua vita
tienimi lontano dal caldo incessante
dai colloqui di lavoro
dalle cravatte rosa
e i calzini in tinta
da tutto quello che odio e che vorrei trattenere
dalla carestia
dalle notti insonni
e svegliati con me una volta ancora
e dimmi che sono profumato
dimmi che sei contenta di vedermi
e dimmi che vieni
e dimmi che torni
dimmi che questa è la mia mano
e questa è la tua
che hanno il dono di far saltare i battiti
di agitare le maree
difendimi da tutti i mali
da quelli veri e da quelli presunti
dal governo e dalla crisi
dall'euro e dalle manifestazioni
dalla voglia di mollare tutto e rovinarsi la vita
dai concorsi letterari
dal mio agente che non è mai contento
dal mio editore che non sento da una vita
che stava morendo e nemmeno lo sapevo
difendimi
io ti difendo
come una gabbia toracica
di carne e ossa
e polmoni.

Faye Goddard.

E non ascolto più musica, per ovvie ragioni.

domenica 24 giugno 2012

Specie Continental.

Siamo saliti sul tetto di un albergo di lusso e li abbiamo presi tutti per il culo
la gente bene, molti dei quali non erano neanche tanto per bene.
La lesbica attempata, ubriaca
vestita da Indiana Jones
che ballava che il giorno dopo la sciatica glielo avrebbe ricordato
che ci provava con la grossa Mama africana
provando a farle sentire un pacco che non aveva.
Il vecchio con gli occhi fissi nelle scollature delle signorine
che non diceva una parola e nemmeno si nascondeva
gli uomini in codino e quelli che dormivano alle nostre spalle
i metallari che pogavano a prescindere
e io e te e la nostra posizione privilegiata
vestiti con magliette non da sera
che sembravamo i figli discoli di qualcuno e ridevamo di tutti
e pareva che fossimo gli unici giovani sul serio
mentre ci guardavano perché li facevamo sentire vecchi.
Il chitarrista che usava la parola specie in maniera alquanto inappropriata
elemosinando diritti di cittadinanza per una cantante abbastanza famosa
che forse non conosceva nemmeno di persona.
E poi le animatrici dai dubbi gusti musicali, le scordinate a bordo vasca
la piscina in cui dicesti non mi farò mai il bagno
i dischetti per entrare, i cocktail molto costosi
e noi che insieme rendevamo divertente quasiasi cosa
come tramutare le zucche in carrozze.
Poi siamo andati via e abbiamo conosciuto i maestri di hoola hop
e ci è venuta voglia di andare a vedere
di andare a Brlino lo stesso, anche se a Toronto erano crollate le luci
per vedere cos'era sta storia di vivere
insegnando a far volare un cerchio di plastica.
Ho preso a pugni i piedi della fatina e scoperto i pochi anni di un ragazzo
che sembrava averne molti di più.
Alla fine è arrivata l'alba e anche quella
non mi ha fatto specie per niente.

Faye Goddard.

I gabbiani.  
   

martedì 19 giugno 2012

Marina Abramovic.

Saltavamo sui treni merci che di notte rallentavano alle stazioni
salivo io per prima e poi ti davo la mano
era questo un gioco da fare d'estate
che il caldo è amico dei clandestini e fa venire voglia di salpare ai disperati.
Non era voglia di scappare di casa
ma scappare da una vita che ci pareva troppo triste nei luoghi d'appartenenza.
Non ci curammo mai della destinazione dei convogli
puerché si stesse insieme, nella clandestinità e poi ci convincevamo a turno
che ovunque fosse meglio che qui.
Era poco che ci conoscevamo e non ci facevamo mai troppe domande
ma capivamo che da soli si ha meno coraggio e tutto ciò che volevamo era non impazzire.
Un giorno, molto più tardi di questo
affrontammo la grande Muraglia
dai lati opposti ognuno per conto suo
per poi incontrarci nel mezzo e capire cosa fare di noi.


Faye Goddard.


Il ronzìo del lavoro di tutti. 

sabato 16 giugno 2012

DJ sotto le bombe.

La guerra dei Balcani, in Croazia, si combatteva anche così, con la  musica.
Prendevamo le nostre biciclette
attraversando campi minati
con i dischi rock sotto al braccio
la nostra musica preferita
la musica illegale
e rischiavamo la vita quasi tutti i giorni
per regalare ai nostri ragazzi
sprazzi di normalità in una realtà che di normale non aveva proprio niente.
L'esercito stava cercando di arruolare i dj
per insegnargli a sparare
per farli tacere.
Da circa un mese Dabor  riversa in condizioni critiche all'ospedale
vittima di una raffica vagante di colpi
mentre attraversava la strada
per recarsi alla radio.
La nostra vita si è trasformata in un nubifragio
e quando ti fermi a chiederti il senso di tutto questo
capisci che continuare a fare le cose che facevi prima
è solo un modo per sopravvivere
la resistenza può avere molte facce
e anche farsi la barba tutte le mattine
ignorando il sibilo delle bombe
anche prendersi cura di se
è un modo molto efficace di resistere
di non farsi ammazzare.
Continuammo e continueremo a trasmettere
la nostra musica illegale
per tenerci svegli i sogni
per non farci toccare
per non farci raggiungere
per essere vivi e poterlo urlare.


Faye Goddard.

Majakovskij. Teatro degli orrori. 

mercoledì 13 giugno 2012

L'M. L'elettronica e i led che indicano la via.

Preferii sempre essere la pietra rotolante del rock n'roll
aggrapparmi alle albe sempre inseguite
ascoltare i racconti di tutti
i tuoi occhi
i tuoi sogni non convenzionali
le stelle e i led che ti mostrano la via
e poi perdermi alle otto del mattino nel raggio di cinquecento metri
perdermi e non sentirmi in pericolo
la casa del diavolo e il giorno perfetto
i concerti vinti via web
l'elettronica ovunque
e tu che dicevi che le avventure improvvisate sono sempre le migliori.
La nostra sensibilità come coltelli impugnati dalla lama
l'M
le frecce rosse a nove euro
sentire di avere tutte le fortune
e la terra che non trema
l'esordio dell'Italia
le ginnaste in erba in eterna commozione
che ti ricordavano un passato che avevi e che forse ti manca
le proiezioni
e noi che ridevamo forte
senza badare ai vecchi che ci guardavano come Marziani
i pakistani senza senso dell'umorismo
con i loro drink fatti solo di cocacola
mentre ci raccontavamo le vite alle spalle
con sguardo ingenuo
e tutto è stato così semplice
che ti viene da pensare
a come è strano quando la vita ci sembra goffa come un cingolato.

Faye Goddard.

Il rumore della lavatrice. 



sabato 9 giugno 2012

Hai lavorato di nuovo tutta la notte tesoro?


C’era quella faccenda del dipingere, c’era sempre, anche se si presentava più raramente, perché poche erano le pause tra la città ed il lavoro e la gente, la vita. C’era quella faccenda del dipingere ma lo imbarazzava ricordarla, a se stesso, agli altri…no gli altri non lo sapevano, non lo sapeva nessuno, eccetto lei che non aveva più rivisto. C’era sempre quella faccenda del dipingere, ma aveva paura di ricordarla perché si sarebbe sentito vecchio, perché si invecchia cominciandoti a deridere, perché ora lui era diverso, ma forse non del tutto. Forse non era poi così diverso se c’era ancora una faccenda del dipingere, se quel quadro era ancora appeso li, di fronte alla scrivania, dove lavorava e venivano i clienti. Fu l’unica cosa che portò dalla casa in paese, dove era cresciuto, dove lasciò la foto in Patagonia, il poster di Gandhi e la Les Paul. Il quadro non riuscì a lasciarlo. Qualcuno dei clienti lo notava e gli chiedeva chi era il pittore e lui, un amico, diceva. Un amico. Ma senza distogliere gli occhi dal computer, impegnato. Poi qualche volta, quando era solo, gli capitava di alzare lo sguardo dallo schermo,  perché gli facevano male gli occhi, o perché basta per oggi ed eccolo ancora li, sulla parete di fronte. Quei tre vecchi che giocano a carte e che ci giocheranno per sempre, i suoi vecchi sul suo quadro. E allora ricordava di aver finto di dimenticare, tutto. Meglio anticiparsi il lavoro di domani allora, almeno avrò il weekend libero, almeno… no ormai era tardi. Quella notte, le pennellate, vedersi le mani sempre più sporche, sopra la tela, ad afferrarla e vedere che è tanto più bella quanto più è tua, la  possiedi, geloso del pennello, è mia! E dichiararlo con una firma. Sperare che il colore non si secchi mai, perché non è ancora finita, perché è perfetta così, da continuare a completare, per sempre. Quella notte il suo quadro era bello, quanto essere macchiati di lui ed anche il suo nome era bello, li in basso a destra. Piacque anche a lei, lei a cui non riuscì mai a fare un ritratto e che quella notte guardò poco, mentre fecero l’amore tra il sudore ed i colori, perché forse con un po’ di giallo, li, dove quel verde scuro proprio non lo convinceva… Ora il colore era secco tra i se ed i congiuntivi, troppi. Almeno il weekend libero… ma prima un bicchierino dalla bottiglia che metteva tra lui e il quadro e quanto avrebbe voluto un whisky più scuro, che lo sguardo non attraversasse la bottiglia. Gli toccava svuotarla, quella, ogni volta, per non vedervi più il quadro attraverso. Quelle volte si addormentava li e al mattino aveva lavoro in arretrato, per fortuna. 

Tanerc.

 
Schubert, impromtu op. 142, n.3.

venerdì 8 giugno 2012

I nostri Giovedì neri.

Le notizie che mi raggiungevano al lavoro
le finali che aspettavo da una vita
a cui saremmo andati tutti
con la macchina
sempre a prendere niente sul serio
mentre perdevo il lavoro col sorriso
come se niente potesse toccarmi per davvero
niente che possa farmi tremare
le famiglie
quelle vere e quelle che mi ero andato a cercare
i nostri giovedi neri
dire stasera non bevo
e volersi contraddire
le quattro del mattino
il caffé prima d'andare a dormire
le passeggiate del mercoledi
le paranoie che ci confessavamo senza pudore
senza la paura di essere giudicati
siamo tutti scoppiati
la generazione del chissenefrega
un'alzata di spalle
e tutto che si scrolla
e dire lo sai che è un sacco di tempo che non prendo
nemmeno una pillola
e io che dico è un sacco che non mi torna l'ansia
eppure stanno cambiando un sacco di cose
ma tutto è così bello
che forse sarebbe il caso di fermarsi un attimo
e farci caso.

Per Faye Goddard.


Una guerra fredda. Le luci della Centrale elettrica.
 

mercoledì 6 giugno 2012

Essere figli. Voler essere genitori. Una sacca di Chamisso.


Restammo in silenzio per un po’, forse ripensando a quello che ci eravamo detti fino a quel momento. Immaginavo i suoi genitori simili ai miei, in fondo loro erano l’unico motivo per cui un’intera generazione molle non era ancora colata a picco. Avevano fatto un buon lavoro, figli depressi e una sacca di Chamisso. Desideravi e loro cacciavano, trovavano sempre il modo, ogni negazione gli era sofferta come un torto. Era come se fossero stati talmente capaci che noi si soffriva per paura di non esserlo altrettanto, di non poterlo essere. Sospinti dal benessere, con una spropositata autostima e una propensione innata nel trovare scuse e scaricare responsabilità, ci trascinavamo verso un periodo di forte incertezza, e comunque eravamo troppo depressi per rimboccarci le maniche. Tutto ci era insormontabile e generava ansia come un generatore Tesla. Il resto del tempo lo passammo parlando, ascoltando musica di sottofondo, ignorandola, come perlopiù fanno tutte le persone; ormai si tende a considerare la musica come una colonna sonora costante della nostra vita, la musica c’è sempre e non ci facciamo più caso, l’importante è che riempia uno spazio. Per ascoltarla non ci fermiamo più a concentrarci, come un tempo si era costretti col vinile, e l’ascolto stesso non è più avvertito come un momento esclusivo della giornata, come lo è ancora per la lettura o ancor di più per la contemplazione di un quadro. Ascoltando musica facciamo altre cose, come guidare, prendere l’autobus o addirittura mangiare. Se guardassimo un quadro mentre guidiamo andremmo di sicuro a sbattere.
“Certe volte vorrei un figlio” dissi.
“Pure io” disse lei. “Ma naturalmente non lo farei mai” aggiunse poi sorridendo.
“Be', immagino che sia così anche per me”
“È che potrebbe riempirmi la vita, magari mi sveglio un po’... certe volte me lo immagino pure come è fatto,” disse “ci sono delle persone che hanno più o meno la nostra età e hanno questi figli, uno si chiama John, come John Lennon, e l’altro Ludwig perché ai genitori gli piaceva un sacco Beethoven, in ogni caso non credo fossero pronti per averne, ed è come se li usassero, come per mettere in chiaro le cose... ma i figli non sono dei gagliardetti, non li puoi chiamare come le cose che ti piacciono. Non credi?”

Faye Goddard.

Il sonno. 

martedì 5 giugno 2012

Patologicamente ricominciamo. (Libera interpretazione del pezzo più famoso di Adriano Pappalardo)



Pappalardo, senza saperlo,  era troppo avanti,  non c’è un cazzo da fare. Ieri sera ho capito di che parla veramente Ricominciamo. Quando l’ho capito ho pensato “povero Pappalardo sono decenni che canta una canzone pensando che sia innocente, che sia una canzone d’amore e invece….” Roba che non ci dormi la notte. Sapete mica è così assurdo, Pupo lo ha scoperto pochi anni fa che i Gelati al cioccolato che gli faceva cantare Malgioglio in realtà erano i cazzi di Santo Domingo.
Il pezzo parte così “E lasciami gridare e lasciami sfogare, io senza amore non so stare” e fin qui si capisce, la sua ragazza lo ha lasciato ma lui non si rassegna, poi continua “io non posso restare seduto in disparte né arte né parte non sono capace…”e qui già comincia il patologico, l’uomo non si rassegna, e quando la vede le corre in contro “gridando ti amo…” Voi immaginatevi Pappalardo che vi rincorre gridando per strada, come minimo chiami i vigili urbani, se non addirittura i vigili del fuoco. Poi arriva il bello “So dove passi le notti (la segue pure la notte) è un tuo diritto io guardo e sto zitto, ma penso di tutto, mi sveglio distrutto, però io ci provo, ti seguo, ti curo, non mollo lo giuro, perché sono nel giusto, perché io ti amo…” e poi infine “Che cosa vuoi che faccia? Io sarò una roccia, GUAI A QUELLO CHE TI TOCCA…” tiè fine della storia, nemmeno sta porella può rifarsi una vita  provando sul serio a ricominciare con un altro uomo che subito arriva Pappalardo e lo mena. E’ un incubo. Sicché se un giorno vi trovate Pappalardo che vi rincorre gridando Ricominciamo, i numeri utili sono: 113 (Polizia) 112 (carabinieri) 118 (l’ambulanza nel caso foste in compagnia di un uomo, pure n’amico va bene, figurati se Pappalardo capisce la differenza) e se al telefono vi chiedono di specificare, si chiama STALKING, il reato dico.  

Faye Goddard.

Ricominciamo. Adriano Pappalardo. 

domenica 3 giugno 2012

Viva il Teatro degli Orrori.

Voglio sapere se
e sapere che
posso ancora fidarmi di te
così diceva la canzone che cantava
ed erano le parole che avrebbe voluto dirle
dire a tutti
se poteva ancora fidarsi
se c'era da fidarsi
e non restare fermo
senza punti di riferimento
osservando la stanchezza
come se fosse un muro
un muro a cui potersi persino appoggiare
come per riposarsi
riposarsi appoggiato alla stanchezza
sembra un paradosso
ma non lo è.
Per tutto il tempo
provare a capire se
aveva coraggio
il coraggio per affrontarla
e trovare le giuste parole
per dirle ti lascio andare
lasciami andare
l'amore forse è più importante della vita
continuò a cantare
ma questa vita
è così importante...

Faye Goddard.

Rivendico. Teatro degli orrori.

venerdì 1 giugno 2012

Essere stronzi.

Se non sei felice
se non ce la fai
lascia e basta
dove sta scritto che devi essere forte
che devi sopportarlo
puoi sempre dire mi dispiace
quando tutto è troppo
e davvero non ce la fai
dici solo mi dispiace
dici solo non posso farlo
e non posso continuare così
e se poi non capiranno pace
se poi sarai tu lo stronzo e allora va bene
non muore il mondo
ma se non sei felice
se non ce la fai
allora si
un po' del tuo mondo
vedrai che muore.
Non saremo giovani una volta diversa da questa
e questo è il momento
di fare delle scelte o semplicemente non farle
e restare a guardare le stelle che cadono
affidando alle luci tutti i tuoi desideri
con la brina sui finestrini
le mani sprofondate nelle tasche
i treni che passano
e noi che li salutavamo come
tutte quelle opportunità che avrebbero potuto
e non hanno saputo
cambiarci la vita.

Faye Goddard.

The Night. Morphine.