mercoledì 30 maggio 2012

Trepidanti attendemmo l'esito della battaglia e non dormimmo mai.

Trepidanti attendemmo l'esito della battaglia
e non dormimmo mai.
Si era deciso di fare a turno
di provare a dormire uno alla volta
ma poi ci accorgemmo quanto fosse inutile.
Restammo quindi accovacciati sul pendio
osservando i fuochi in lontananza.
I saggi si erano riuniti
dei due uno avrebbe rappresentato la coscienza
e un altro l'istinto
uno la saggezza e l'altro l'impeto.
Non ci era dato sapere chi dei due fosse l'uno
e quale l'altro
chi propendeva per il movimento
e chi per la stasi
sapevamo solo quelle che erano le regole
e non potevamo fare altro che aspettare.
Bisognava decidere se ci saremmo spostati vero il mare
o se era il caso di restare sulle pianure.
In silenzio attendemmo
e non dormimmo mai.

Faye Goddard.

La strada. Gli uccelli. Il rumore della doccia.

lunedì 28 maggio 2012

Seminare vento. Raccogliere tempeste.

Nelle ultime settimane avevo seminato un po' di vento
scoprendo di non avere una direzione.
Eppure mi pareva di poter dire
che seppure non fosse super avventurosa
io potessi affermare con certezza di avere una vita
e so che non tutte le persone possono dire lo stesso.
La testa un po' indietro
il corpo di nessuno
lo sguardo perso a sognare ancora
io ero felice
e la mia povertà e tutti i guai mi facevano sentire
vicino a me
vicino a come volevo essere.
Il mio amico Fagotto mi ripeteva spesso
che la vita è un morso
e io immaginavo di essere riuscito
ad assaporare quel morso
e a non lasciarmi sfuggire mai l'occasione
di prenderne ancora un piccolo pezzo
una briciola
e se questo significava seminare un po' di vento ancora
allora sarei stato contento di offrire il fianco ad un'altra tempesta.
Non fui sempre fiero di quello che ero
ma sempre io sono stato istintivo e mai
mi si potrà rimproverare di essere stato obliquo, affettato.
Non dico di essere sempre stato genuino come una carota
ma non è vero che al posto del cuore
ho un cetriolo
come qualcuno ha affermato di recente.
Così aprite le finestre e scardinate le porte, rispolverate i cappotti
e alzate i baveri
poiché ieri mi sono frugato in tasca
trovando una moneta, una sigaretta e ancora vento
domani è prevista pioggia.

Faye Goddard.

La stanchezza.


domenica 27 maggio 2012

Spalmava di pece gli innesti della pianta di limoni.


Gli chiesi della matematica. Perchè aveva iniziato a studiarla. Lui mi parlò di quando era bambino e in paese cominciarono a cadere le bombe. Mi disse che avrebbe fatto qualsiasi cosa per fermarle, perché la sorella piangeva. Mi disse che la gente pregava ma che secondo lui dio non c’entrava molto in quella storia perché quelle bombe le vide cadere anche sulla chiesa. Per un bambino poi si sa nulla accade per caso. Il caso non lo si riesce nemmeno a concepire da bambini, perché tutto ha una ragione ed io iniziai a cercarla. Perché mia sorella piangeva.  Da adulti è diverso e sono pochi quelli che ancora la cercano una ragione, delle cose, della guerra. Mi disse. Quel soldato americano gli urlò di gettarsi nella buca perché una bomba non cade mai due volte nello stesso punto. Ed era vero. Eppure in quella buca sembrava l’unico a domandarsi perché. Perché due bombe non cadono mai nello stesso punto? Lo chiese a sua madre che magari gli avrebbe raccontato una bella storia, come quando le chiedeva perché il padre non tornava, ma la madre stringendolo al petto, gli disse di  non avere paura e che presto sarebbe finita. Ma io non avevo paura, mi disse, volevo solo sapere perché. Perchè le bombe non cadono mai nello stesso punto. Lo chiese persino al soldato ma quello gli spiegò che era una delle prime cose che ti insegnano al fronte, che le bombe più pericolose sono le prime, perché con quelle ancora non ne hai di buche, ma di più non aggiunse. Mi sembrava che se avessi capito questa cosa, avrei capito anche perché le lucciole arrivavano sempre a maggio, le formiche andavano in fila, quel rumore quando l’acqua si asciuga d’estate, sul cemento… Presi l’abitudine di guardare in alto quando arrivavano quegli aerei e contavo. Quanti aeri, quante bombe riuscivano a sganciare, quanti secondi tra la sirena e la prima esplosione. Contavo perché mi piacevano i numeri e mi erano sempre piaciuti perché erano semplici. Non come quelle lezioni di storia, di guerre, come se non bastasse quella di guerra. Mi piacevano i numeri perché non parlavano di guerra, perché  non sbagliavano e se c’era una ragione per cui quelle bombe non cadevano mai nello stesso posto, se c’era una ragione per cui quelle bombe cadevano, allora l’unico modo per scoprirla erano i numeri. Mi disse.
-professore ha studiato matematica per scoprire perché le bombe non cadono mai nello stesso punto?
-no,  ho studiato matematica perché per quanti sforzi provai a fare in seguito, la guerra non riuscii mai a capirla.
-e nella matematica non si parla di guerra
-mai, di nulla.

Tanerc

W.A. Mozart, 12 variazioni sul tema “Ah, vous dirai-je, maman’ K265

sabato 26 maggio 2012

Facce stampate e non riconoscersi.


Era quel modo di aggiustarsi i capelli. Li avevi fatti crescere perché volevi sapere se erano lisci o ricci. Ti arrivavano alle spalle coprendo il collo, certe volte li tenevi davanti agli occhi come per proteggerti da un agguato, ma poi li scostavi e li passavi dietro le orecchie, questo quando eri davvero nervoso. Li avevi fatti crescere per capire, ma non avevi capito. Nella vasca, come nella culla, cercavi la luce giusta, immagini tutte le volte come sarebbe stato passare davanti a una vetrina e osservare la tua faccia stampata su un libro e non riconoscersi. Guardavi molti film e la tua immaginazione lo subiva. Ti osservavi da fuori, ma non riuscivi a mettere a fuoco. Il gatto scattava sempre all’improvviso e osservava il nulla, certe volte miagolando. Pensavi che fosse capace di vedere la gente morta. È una cosa riscontrabile in molte culture. Allontanavi questi brutti pensieri, ti spaventavano a morte. Ci sarà sempre tempo, e ci credevi. 


Faye Goddard.

Nessun rumore. 

 

venerdì 25 maggio 2012

Di sperare. Di stare fermi. Di distributori di sigarette.

Restavamo fermi, mentre la neve scendeva forte
scendeva e non si raccoglieva
tu mi guardavi
poi mi hai detto non sono venuta per te stasera
ma intanto sei qui, pensai
intanto non te ne vai
e come dire che vuoi
ma niente certo
non c'è niente
e io non sono più lo stesso
sono uno stronzo
il che va anche bene, figurati
non tratterò mai più nessuno come se fosse di cristallo
proprio adesso che sono forte
non mi curo eccessivamente del tuo umore
né mi curo del mio
piuttòsto siamo fermi
ma niente è più come prima
siamo l'esito di una granata
intorno il vuoto e le macchine che passano
stesi sull'asfalto
e la luce del distributore di sigarette
i tanti discorsi, il vecchio e il mare
la mia vita è un turbine come vedi
e non so niente di te
mentre facevi la faccia preoccupata
che tutto questo mi avrebbe cambiato
non glielo lascerò fare, ti ho detto
ho promesso
l'ho promesso a me
ma lo vedo bene che non mi credi
o magari solo dici
speriamo
speriamo infatti
speriamo.

Faye Goddard.

Purity Ring. Lofticries. 



mercoledì 23 maggio 2012

Cut up.

Non ho forza nelle mani, ed è difficile scrivere
non abbiamo preso ansiolitici e sedativi, mi sta venendo anche un po' fame
in ogni caso è una sensazione piacevole quella che sto vivendo ora.
Come tutte le cose che tocco, anche questa si è rotta
Mario non è in grado di scrivere poesie
e penso che a breve troverà un altro angolo per i suoi pezzi.
Sto cercando di ricordare una musica che canticchiavamo al supermercato
il gioco, l'aria è fresca e il cielo è nuvoloso
mancavo da questa casa da mesi
Life is simple in the moonlight, questa era la canzone
e adesso Mario ne canta il motivetto
racconta un film che non ho visto
un film semplice e delicato
questa canzone mi piace molto, mi sembra di stare
in un posto che non esiste quando l'ascolto
Mario l'ha levata, poi la rimette.


C.P.

Life is simple in the moonlight.

lunedì 21 maggio 2012

Tenere fredda la neve tra i due punti di Cantor.

Ci sono state volte in cui
capivo che il mio cuore non sarebbe mai stato
abbastanza grande per coprire tutte le sue periferie.
Durante i suoi lunghi silenzi
mi pareva che i suoi occhi fossero come i due punti di Cantor
in mezzo ai quali, a prescindere dalla distanza,
ci passano infinite cose.
Non so per quanto l'avrei avuta intorno
ma di qualunque tempo si fosse trattato
ero certo che non l'avrei mai vista invecchiare.
Difficile davvero non immaginarla più bella
con una scorza più dura.
Da parte mia mi affannavo a cercare di tenere fredda la neve
un tempo, nel tentativo di trattenerla, sabotai alcuni suoi viaggi.
Avevo amici influenti che fecero in modo che avesse grane coi documenti.
Faye questo non lo dovrà mai sapere
ma il mio talvolta fu un disperato tentativo di frenarle la vita
di regolarle la velocità
perché egoisticamente pensai
così forte amica mia
la tua troppa luce
finirà col bruciarti lasciandomi da solo qui
per raccontarla e io non lo sopporterei.

Per Faye Goddard.

Pioggia e Sole. Padrone vieni a prendermi.

Il poeta col ciuffo cavalca la Perfida Albione. Stephen Patrick Morrisey.


In una delle sue più celebri canzoni scriveva “dici che canto male? Sapessi come suono il piano…” La canzone era The queen is dead, lui era alto quasi uno e novanta, aveva il ciuffo e cantava in una band dal nome troppo anonimo. Loro erano i The Smiths e insieme a Johnny Marr componeva alcune tra le più struggenti canzoni d’amore e disagio che la lingua inglese abbia mai conosciuto. A parole Stephen Patrick ha amato tanto, stucchevolmente, come un adolescente ai primi sogni bagnati, ma a dirla tutta ha amato veramente poco, se non se stesso, Award Devoto dei Buzzcocks, e forse Michael Stipe, cantante dei R.E.M., ma chi può dirlo se non fosse solo gossip e se lo amasse veramente. Stephen Patrick non amò niente, non fuma, non beve, non si droga, ha sempre fatto vita timorata, anche adesso che vive a Roma. Si sarebbe detto un asceta, se non avesse amato smodatamente i soldi, i vestiti da pappone, la brillantina e la pioggia di Manchester. A Londra ci mise piede una sola volta, ne parla in una canzone eccezionale dal titolo Half a person in cui pedina per mesi una donna e si dice fosse un fatto vero. Credo sia gay, completamente gay, anche se lui si è sempre definito asessuato, o comunque poco interessato alla cosa. Eppure Stephen Patrick Morrisey è forse il più grande poeta britannico dai tempi di Oskar Wilde, dei cimiteri e dei teatri all’aperto. E dire che la letteratura britannica non è affatto povera, ma è quest’uomo, con cui non vorrei fare nemmeno la fila al supermercato, ad essere ricco come un magnate, ad essere schifosamente opulento di talento. Leggi i suoi testi e finisci col chiederti come sia possibile mettere certe parole dentro una canzone da hit parade. Il suo album migliore è Louder than bombs, ma c’è una donna che ama gli Smiths tanto quanto me che di The Queen is dead ha persino il vinile che non sarebbe affatto d’accordo e anche io fino a tre mesi fa non mi sarei immaginato di  doverla contraddire.
Mi fa veramente ribrezzo per quanto talento abbia dimostrato di avere e anche se negli ultimi anni con la sua carriera da solista mi pare abbia perso un po’ di smalto per me resterà sempre il ragazzo col mazzo di glicini gialli che agitava sul palco, gli occhiali della mutua, il ciuffo alto e la mascella squadrata, quella voce che solo in bocca a lui funzionava, e quell’innocenza e timidezza che mascherava con tonnellate di sarcasmo e frasi taglienti neanche fosse una lama di cristallo che fende il mare.

Faye Goddard.

I want the one i can't have. The Smiths.
 

domenica 20 maggio 2012

Non sono stato un buon esempio, lo so.



Faye è andata via
e aspetta la pioggia
fuma una sigaretta
mentre scivola lo sguardo
non sono stato un buon esempio, lo so
non raccontiamoci bugie.
Non penso che le cose possano cambiare
Faye scivola via
e io aspetto, con sospetto, la pioggia
la finale di coppa
i locali sotto terra  
uscire in superficie e meravigliarsi
che il sole ci ha preceduti
quando dissi che cosa strana
e non capivo se fosse molto presto o troppo tardi.

Faye Goddard.

La guerra delle bande. Dente. 


L'odore di underground.



I giorni in cui sapevo che non l’avrei vista avevano la fame del fronte,  quella fame di vita in bilico che impari a sentire, nel mio caso, solo attraverso i libri e le suggestioni. La Grecia era in tumulto, forse avrebbe insegnato rivolta come ai tempi di Byron, ma nessuno di noi sembrava sentire l’esigenza di spostarsi, di andare a vedere e prendervi parte, forse perché niente sembrava davvero valere la pena, nell’omologazione globale, niente di quanto accadeva ovunque sembrava davvero grande. Il mondo era diventato un piccolo orto, e persino l’America latina pareva a portata di mano oltre la finestra del computer. Essere qui o essere altrove, lo schifo era lo stesso. Così nei giorni in cui sapevo che non l’avrei vista mi pareva di capire, per paradosso, i drammi che fecero molto famoso Trakl, tralasciando le paranoie di Kokoschka e ciò che tirò giù dalle scale l’amato Lucentini. Vivevo a quel tempo barricato in una stanza molto piccola, divisa da un appartamento abbastanza grande perché una famiglia con figli potesse viverci bene. Mi ero sempre trovato meglio negli spazi piccoli, forse perché mi ricordavano la magrezza della mia situazione economica, e il fatto che volendo vivere di scrivere non mi sarebbe mai riuscito d’essere ricco. 

Faye Goddard.

Non vedo l'ora. Teatro degli orrori.