mercoledì 6 giugno 2012

Essere figli. Voler essere genitori. Una sacca di Chamisso.


Restammo in silenzio per un po’, forse ripensando a quello che ci eravamo detti fino a quel momento. Immaginavo i suoi genitori simili ai miei, in fondo loro erano l’unico motivo per cui un’intera generazione molle non era ancora colata a picco. Avevano fatto un buon lavoro, figli depressi e una sacca di Chamisso. Desideravi e loro cacciavano, trovavano sempre il modo, ogni negazione gli era sofferta come un torto. Era come se fossero stati talmente capaci che noi si soffriva per paura di non esserlo altrettanto, di non poterlo essere. Sospinti dal benessere, con una spropositata autostima e una propensione innata nel trovare scuse e scaricare responsabilità, ci trascinavamo verso un periodo di forte incertezza, e comunque eravamo troppo depressi per rimboccarci le maniche. Tutto ci era insormontabile e generava ansia come un generatore Tesla. Il resto del tempo lo passammo parlando, ascoltando musica di sottofondo, ignorandola, come perlopiù fanno tutte le persone; ormai si tende a considerare la musica come una colonna sonora costante della nostra vita, la musica c’è sempre e non ci facciamo più caso, l’importante è che riempia uno spazio. Per ascoltarla non ci fermiamo più a concentrarci, come un tempo si era costretti col vinile, e l’ascolto stesso non è più avvertito come un momento esclusivo della giornata, come lo è ancora per la lettura o ancor di più per la contemplazione di un quadro. Ascoltando musica facciamo altre cose, come guidare, prendere l’autobus o addirittura mangiare. Se guardassimo un quadro mentre guidiamo andremmo di sicuro a sbattere.
“Certe volte vorrei un figlio” dissi.
“Pure io” disse lei. “Ma naturalmente non lo farei mai” aggiunse poi sorridendo.
“Be', immagino che sia così anche per me”
“È che potrebbe riempirmi la vita, magari mi sveglio un po’... certe volte me lo immagino pure come è fatto,” disse “ci sono delle persone che hanno più o meno la nostra età e hanno questi figli, uno si chiama John, come John Lennon, e l’altro Ludwig perché ai genitori gli piaceva un sacco Beethoven, in ogni caso non credo fossero pronti per averne, ed è come se li usassero, come per mettere in chiaro le cose... ma i figli non sono dei gagliardetti, non li puoi chiamare come le cose che ti piacciono. Non credi?”

Faye Goddard.

Il sonno. 

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