lunedì 26 giugno 2017

Yerma

Juan Orelledo osservava la pioggia d'estate. Non toccava l'asfalto, si prosciugava prima. 
La camicia arrotolata fino ai gomiti, i pantaloni di stoffa lisa, la sigaretta spenta.
Una stella nera dentro un cerchio riposava sul braccio sinistro.
Un passato che poteva nascondere, impossibile da dimenticare.

La pistola era avvolta in uno straccio, non ci sparava più.

E' morto, si disse ed era quasi orgoglioso, come se avesse contribuito. Non a Granada, nella fossa comune. A Oviedo, nel suo letto. Felice.

Checca fino all'ultimo, immaginò, perché non c’era stato ma lo conosceva, senza un prete. Fino all'ultimo secondo, un uomo.
Dopo aveva abbassato lo sguardo, dato un calcio alla terra che si era fatta polvere.
«Il tempo passa e ci lascia da soli» sussurrò al vento come il vecchio che era, «la rivoluzione…» Avrebbe voluto sputare, ma la gola era prosciugata, ai lati delle labbra increspate due chicchi di riso. Anche solo averci provato, pensò, vincere e perdere è per le macchine avrebbe detto a suo nipote, se solo ne avesse avuto uno, la vita è esserci stato.

 

Pierangelo Consoli.

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