mercoledì 10 aprile 2013

Suicidi Squisiti N°13 (sono l'unica speranza di questo paese, solo che questo paese non lo sa...)



C’era molto traffico
ebbe tutto il tempo di collegare un tubo
alla marmitta
e farlo scivolare dal finestrino dell’abitacolo.





Imparai a diffidare dei bambini quando capii che erano i migliori amici del Gabibbo. E adesso ne avevo uno in arrivo. Come si fa a farsi piacere un enorme pomodoro rosso col papillon che parla genovese?
Che dice a tutti “TI SPACCO LA FACCIA!”Come Toro scatenato?
Avevo sempre immaginato di torturare un uomo legandolo a una sedia nel buio di un garage e costringerlo ad ascoltare un’intera compilation del Gabibbo.
“Mea… Mea…” dallo stereo
e il prigioniero “No! No! Basta ti prego, parleròòòò...”
Stavo cercando di distrarmi per non dover  pensare al fatto che sarò  padre senza averlo scelto: è capitato e nemmeno posso dire  bene come.  Adesso sono bloccato in tangenziale. In ritardo per l’ennesimo colloquio di lavoro. Forse la cosa peggiore che mi possa capitare è essere assunto. Anno dopo anno a invecchiare in un ufficio di merda, a fare fotocopie per un capo ottuso che a stento ha finito le medie. Mi ero immaginato un futuro tutto diverso, ma ci sono volte in cui è impossibile rimandare il ring con la maturità, quando ti dice “fatti sotto” con la guardia alta, un avversario enorme come Primo Carnera.
Sarei voluto partire, allontanarmi senza pensare  allo sguardo di lei con in mano il test di gravidanza che dice “e adesso?” E adesso non lo so… Vorrei che il mio sguardo non si perdesse nella scia di ogni singolo culo che passa, che quelle gambe non urlassero tutta la libertà che non potrò più avere.
Lo stereo trasmette orribili canzoni vuote come i jingle della coca-cola. Bloccato qui nel mese di agosto, in mezzo a gente che si prepara ad andare in vacanza. Gli abitacoli stracolmi di cose inutili mi raccontano una vita impossibile.
Mio padre è notaio. Passerà lo studio al suo miglior praticante.
Un giorno passerà presso quel civico per vedere sulla targa un nome diverso. Era stato di suo padre e poi il suo, quando nacqui non poteva immaginare che le cose sarebbero andate così. Non ha mai nascosto la sua delusione, avevo voluto studiare filosofia e adesso ero senza lavoro.  Volevo essere come Henry Levy: sono l’unica speranza per questo paese, solo che questo paese non lo sa.  
Sono tre quarti d’ora che sto bloccato. Le persone cominciano a scendere impazienti dalle macchine cercando con lo sguardo di capire che cosa, all’orizzonte, c’impedisce di scorrere. Alla fine scendo anch’io. Apro il cofano e tiro fuori una vecchia pompa da giardino. La marmitta è fredda e fisso il tubo con del nastro adesivo. Faccio tutto con calma e nessuno si cura di me. Faccio scorrere il tubo di gomma lungo la fiancata e lo blocco nel finestrino. Un bambino dalla macchina affianco mi guarda curioso. Suo padre ha cominciato a litigare con un altro automobilista. Sua madre urla al marito di smetterla, ma quei due come degli oranghi si sbracciano e non vogliono sapere altro che sfogare la propria frustrazione urlandosi contro. Intanto mi chiudo dentro e accendo la macchina. Per un attimo immagino di stare in uno di quei dirigibili alla Giulio Verne. Il Nautilus di ventimila leghe sotto i mari. O come il viaggio sulla luna di Méliès, sarebbe bello poter sconfiggere i propri nemici con un ombrello, vederli sparire in un innocuo scoppio di fumo bianco.  Sarebbe una romantica vita in bianco e nero, senza madri e padri, ma solo zii e cugini, come a Paperopoli.
La testa mi si fa leggera e ho il fiato corto. Il bambino della macchina affianco mi saluta, io lo saluto. È tutto finito, o almeno sta per finire. Mi dispiace Claudia, se tu non vuoi abortire, lo farò io, per tutti e due.

Aldo Consoli.

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