C’era
un oceano in mezzo, di acqua e di sonorità, un oceano culturale. Oggi diremmo
che i Beatles e i Beach Boys sono stati dute tra i più grandi gruppi della
storie della musica, ma all’epoca erano solo due tra i più grandi gruppi del
mondo. C’è stato un tempo in cui appartenere a questi gruppi significava sana
competizione e rispetto. Un po’ come se i Gallagher non ci rompessero le palle
con due band praticamente identiche e capissero il significato dei capelli
grigi e dei peli sul cazzo, e cioè che la fase dell’adolescenza è finita da un
pezzo.
Quando
Brian Wilson, leader di quella band famiglia che erano i Beach Boys, ebbe tra
le mani Rubber Soul capì che era stanco della musica surf, stanco di scrivere
canzoni sul sole della California e sui
tipi da spiaggia. Quello che disse è “voglio fare anch’io una cosa così.” In
procinto di partire per il Giappone, per una tourné, comunicò agli altri che
non sarebbe partito, che lui restava, perché aveva questo sogno da inseguire,
restando fermo, in studio. Brian Wilson era leggermente sordo a un orecchio e
per mesi si ritirò a scrivere canzoni, molte canzoni, a giudicare dal prodotto
finale. Quando gli altri Beach Boys tornarono, lo trovarono immerso nelle
partiture. Lui distribuì i fogli e diede istruzioni. Aveva un’orchestra nella
testa, un’orchestra talvolta fatta di sole voci a cappella. In breve incisero
uno degli album più influenti e importanti della storia del pop rock, il suono
prediletto, quello degli animali domestici, il Pet Sounds, appunto. Quando l’album
attraverò quell’oceano finì nelle mani dei Beatles e quando lo ebbero ascoltato
pure Lennon e McArtney pensarono “voglio fare anch’io una cosa così” e quando
ebbero finito di lavorare presero tutte le canzoni, molte canzoni, a giudicare
dal prodotto finito, e lo chiamarono Album bianco, White Album, appunto.
Pier Angelo Consoli.
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