Girava
voce che Facebook da lì a poco
Sarebbe
diventato a pagamento.
Lui
cercava disperatamente un lavoro,
all’ennesimo
rifiuto
si
impiccò di fronte al collocamento
del
paese.
Assunto!...
In cielo.
Il mio ragazzo è in coma, è successo, in maniera
bizzarra, ma è successo. Dicono che parlargli aiuta, non so se di più a lui o a
me.
Se non è in una bara
adesso è perché il netturbino lo ha trovato appeso a un lampione di fronte al
collocamento. Gli ha salvato la vita, o almeno quel briciolo che ancora gli
rimane.
Impiccarsi stava
diventando come una moda. Prima c’erano stati quei due fratelli che insieme,
uno in bagno e l’altro nello sgabuzzino, avevano deciso di farla finita; e poi
c’era stato un bambino di tredici anni. Nemmeno me lo posso immaginare il
motivo che spinge un bambino così piccolo a fare un gesto tanto estremo.
Ma forse i motivi non
sono così importanti quanto il pensiero che anche solo ti attraversa la mente e
la forza che ci vuole per comprarsela una corda, fare un belo nodo e poi
ficcarci la testa dentro.
Non credo che abbia
pensato a me, a come mi sarei sentita dopo, ma in ogni caso mi ha incastrata
più che se mi fosse venuto dentro.
Dicono che bisogna
sperare, parlare e fargli ascoltare la musica che gli piaceva. È così da tre
settimane, forse se potesse parlare mi direbbe vattene, tu non c’entri niente.
Un ragazzo di trentasei
anni è in coma, lo so, lo sanno tutti, tranne lui che riposa i fatti suoi. Il
prete del paese dice che è vivo e c’invita a pregare. Forse davvero un giorno
tornerà a parlare, bacerà qualcuno sotto un ponte mentre passa un treno, che si
dice porti fortuna.
Oppure, magari,
smetterà di odiare la famiglia Chaplin, Freddy Mercury e il tipo che ha deciso
di mettere facebook a pagamento.
Ascoltavamo spesso una
canzone dove c’era la regina e un posto bello e asciutto, un amore e due uomini
a spasso per le strade umidissime di Manchester.
«Dici che non so scrivere?» Ti dissi una volta «sapessi come suono la
chitarra…»
E tu hai riso, hai
colto l’allusione e hai riso.
Ci siamo conosciuti in
un pub, uno di quelli che ti tolgono le forze, che è un pozzo in cui tutti
finivano col finire. Era aperto sempre per quasi tutta la notte. Ci era sempre
sembrato bello e asciutto come il posto di quella canzone e sentivamo di poter
parlare di tutto quello che ci stava a cuore, o cosa ti fa ridere, dimmi,
quando dico casa, ciliegia o cibo?
Un ragazzo è in coma e
non so nemmeno se è davvero il mio ragazzo. Non abbiamo fatto in tempo a
chiarire. Era da poco che aveva perso il suo lavoro precario all’IKEA. Ci aveva
lavorato otto mesi, ancora due e sarebbero stati costretti ad assumerlo per
sempre.
Ma non era successo e
ci era rimasto malissimo. Quando ci siamo conosciuti stava cercando
ossessivamente un lavoro, ma non ci riusciva. A volte provavo a rincuorarlo ma
restava in silenzio e diventava irritabile.
È così bello e non
possiamo proprio farci niente, l’osserviamo come una reliquia. Cercava un
impiego e ha trovato un’occupazione,
pare a tempo indeterminato.
Mentre solo
apparentemente dorme, tutti sono da lui, si preoccupano e vorrebbero essere
presenti la volta in cui deciderà di svegliarsi.
Tutti tranne il suo
gatto che resta disteso sul divano e pare che la sua vita almeno non sia
cambiata gran che. In fondo è l’unico che non farebbe una certa faccia se io
smettessi di venire, se mi trovassi un altro ragazzo e decidessi che del resto
la mia vita non può fermarsi a quella mattina.
Il mio ragazzo è in
coma, si è impiccato davanti al collocamento del paese. All’ospedale le persone
vanno e vengono, pure i giornalisti ci sono venuti e adesso ditemi se i panni
sporchi davvero si riesce a lavarli in casa.
La vita dura più a lungo,
molto più a lungo, quando si è soli.
Vorrei solo trovare un
modo per bruciare le settimane, farcendole di attese per soffocare l’inverno. Il
mio ragazzo ha escogitato un sistema infallibile per non invecchiare mai e
bypassare questi anni morti di insopportabili routine musicali. Forse si
sveglierà quando avremo finito di rifare gli anni ottanta.
Tante volte anch’io
penso di dormirci su, di non fare assolutamente niente sperando che passi, che
finisca col mettersi tutto a posto, neanche tanto poco a poco.
Aldo Consoli.
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