lunedì 25 marzo 2013

Suicidi Squisiti n°9 (Se ti piacciono i The Smiths...)



Girava voce che Facebook da lì a poco
Sarebbe diventato a pagamento.
Lui cercava disperatamente un lavoro,
all’ennesimo rifiuto
si impiccò di fronte al collocamento
del paese.
Assunto!... In cielo.



Il  mio ragazzo è in coma, è successo, in maniera bizzarra, ma è successo. Dicono che parlargli aiuta, non so se di più a lui o a me.
Se non è in una bara adesso è perché il netturbino lo ha trovato appeso a un lampione di fronte al collocamento. Gli ha salvato la vita, o almeno quel briciolo che ancora gli rimane.
Impiccarsi stava diventando come una moda. Prima c’erano stati quei due fratelli che insieme, uno in bagno e l’altro nello sgabuzzino, avevano deciso di farla finita; e poi c’era stato un bambino di tredici anni. Nemmeno me lo posso immaginare il motivo che spinge un bambino così piccolo a fare un gesto tanto estremo.
Ma forse i motivi non sono così importanti quanto il pensiero che anche solo ti attraversa la mente e la forza che ci vuole per comprarsela una corda, fare un belo nodo e poi ficcarci la testa dentro.
Non credo che abbia pensato a me, a come mi sarei sentita dopo, ma in ogni caso mi ha incastrata più che se mi fosse venuto dentro.
Dicono che bisogna sperare, parlare e fargli ascoltare la musica che gli piaceva. È così da tre settimane, forse se potesse parlare mi direbbe vattene, tu non c’entri niente.
Un ragazzo di trentasei anni è in coma, lo so, lo sanno tutti, tranne lui che riposa i fatti suoi. Il prete del paese dice che è vivo e c’invita a pregare. Forse davvero un giorno tornerà a parlare, bacerà qualcuno sotto un ponte mentre passa un treno, che si dice porti fortuna.
Oppure, magari, smetterà di odiare la famiglia Chaplin, Freddy Mercury e il tipo che ha deciso di mettere facebook a pagamento.
Ascoltavamo spesso una canzone dove c’era la regina e un posto bello e asciutto, un amore e due uomini a spasso per le strade umidissime di Manchester.
«Dici che non so scrivere?» Ti dissi una volta «sapessi come suono la chitarra…»
E tu hai riso, hai colto l’allusione e hai riso.
Ci siamo conosciuti in un pub, uno di quelli che ti tolgono le forze, che è un pozzo in cui tutti finivano col finire. Era aperto sempre per quasi tutta la notte. Ci era sempre sembrato bello e asciutto come il posto di quella canzone e sentivamo di poter parlare di tutto quello che ci stava a cuore, o cosa ti fa ridere, dimmi, quando dico casa, ciliegia o cibo?
Un ragazzo è in coma e non so nemmeno se è davvero il mio ragazzo. Non abbiamo fatto in tempo a chiarire. Era da poco che aveva perso il suo lavoro precario all’IKEA. Ci aveva lavorato otto mesi, ancora due e sarebbero stati costretti ad assumerlo per sempre.
Ma non era successo e ci era rimasto malissimo. Quando ci siamo conosciuti stava cercando ossessivamente un lavoro, ma non ci riusciva. A volte provavo a rincuorarlo ma restava in silenzio e diventava irritabile.
È così bello e non possiamo proprio farci niente, l’osserviamo come una reliquia. Cercava un impiego e  ha trovato un’occupazione, pare a tempo indeterminato.
Mentre solo apparentemente dorme, tutti sono da lui, si preoccupano e vorrebbero essere presenti la volta in cui deciderà di svegliarsi.
Tutti tranne il suo gatto che resta disteso sul divano e pare che la sua vita almeno non sia cambiata gran che. In fondo è l’unico che non farebbe una certa faccia se io smettessi di venire, se mi trovassi un altro ragazzo e decidessi che del resto la mia vita non può fermarsi a quella mattina.
Il mio ragazzo è in coma, si è impiccato davanti al collocamento del paese. All’ospedale le persone vanno e vengono, pure i giornalisti ci sono venuti e adesso ditemi se i panni sporchi davvero si riesce a lavarli in casa.
La vita dura più a lungo, molto più a lungo, quando si è soli.
Vorrei solo trovare un modo per bruciare le settimane, farcendole di attese per soffocare l’inverno. Il mio ragazzo ha escogitato un sistema infallibile per non invecchiare mai e bypassare questi anni morti di insopportabili routine musicali. Forse si sveglierà quando avremo finito di rifare gli anni ottanta.
Tante volte anch’io penso di dormirci su, di non fare assolutamente niente sperando che passi, che finisca col mettersi tutto a posto, neanche tanto poco a poco.

Aldo Consoli.

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