venerdì 29 marzo 2013

Suicidi Squisiti n°10 (Instagrammare o non instagrammare: questo è il problema...)




Il suo smartphone non era più in garanzia
Non poteva accettare il ritorno a un altro più spartano.
Per caso di lì si trovò a passare
Un tir della Vodafone
Ci volle un attimo…



  
«Questa è la forma più pura di verità che il mondo di oggi possa offrire. Non c’è niente da fare…» Stava dicendo Fudo al suo giovane amico sventolando il suo smartphone nell’aria come un rullo da parete.
«Quello che sto cercando di dirti è che grazie a questo strumento possiamo frammentare la nostra vita in milioni di istanti, è l’hard disk esterno della nostra mente, capisci cosa voglio dire?»
Al suo fianco Dario continuava a non capire bene. C’era qualcosa in quel ragionamento che gli puzzava. Dario era abituato alle farneticazioni del suo migliore amico e aveva capito che non doveva dargli troppo peso. La loro era sempre stata un’amicizia che vista da fuori sembrava strana. Il Grande Fudo era un ragazzone sui diciassette anni, così grosso da meritarsi l’appellativo della quinta forza Nanto. Dariolino dal canto suo non aveva che dieci anni, era nero e non pesava nemmeno la metà del Grande Fudo.  Quando quei due entravano in una stanza sentivi che c’era qualcosa di strano, ma non sapevi se fosse davvero il caso di meravigliarsi. Erano come una pioggia di castagne o una freccia al neon.
«In fondo è solo un telefono» disse poi Dario «non vedo cosa ci sia di straordinario…»
 «Sono perplesso…» Continuò Fudo da sotto al suo cappellino da baseball verde. Stava sudando vistosamente e nonostante i due stessero all’ombra di un vecchio albero non accennava a toglierselo. Non se lo toglieva mai. A scuola avevano fatto molte storie per via del cappello e di certe magliette a dir poco singolari che Fudo si faceva da solo, ma si erano dovuti arrendere, come del resto sua madre.
Chi lo conosceva non sapeva cosa pensare di lui, non è che palesasse un qualche ritardo, il Grande Fudo era solo un ragazzone grande, grosso e pieno di stranezze.
Dario invece era un bambino modello. Sua madre lo vestiva ancora con i pantaloncini corti e le bretelline il che lo faceva sembrare persino più piccolo di quello che era. I suoi insegnanti ritenevano che se forse Dario non era precisamente quello che si dice un genio, di sicuro era molto sveglio degli altri ragazzi della sua età.
C’era come una strada a metà fra quei due dove potevano incontrarsi e capirsi. Non c’era impresa in cui il Grande Fudo si sarebbe imbarcato senza prima discuterne col suo giovane amico.
«Di che sei perplesso?» Chiese il ragazzino
«non capisco come tu non possa arrivarci. Questo non è solo un telefono: questo sono io. Sono io espanso a contatto con il mondo. Se oggi non twitto qualcosa i miei amici in Cina penseranno che sono morto.»
«Sono sicuro che se ne faranno una ragione…» Concluse sarcasticamente Dario.      
Ciò che mortalmente affliggeva il Grande Fudo quel giorno era il fatto che il suo smartphone avesse smesso di funzionare. Stava sul davanzale della finestra della sua stanza quando accidentalmente era finito nell’acqua. L’animale domestico di Fudo è un pesce rosso di nome Karol, come il papa morto.
Non che Fudo fosse mai stato troppo legato alla dottrina, tutta la sua formazione culturale cominciava e finiva col palinsesto di cartoon network tra le cinque del pomeriggio e le nove di sera. Ma quando Giovanni Paolo II morì ebbe una crisi mistica che lo prese a tal punto da mettersi a fare messe in giardino.  Nel tentativo di distrarlo sua madre gli comprò quel pesce, ma il figlio lo assorbì semplicemente nel suo delirio nominandolo cardinale, consigliere personale e vicario papale. L’unica cosa che fu capace di sottrarlo all’ortodossia fu quel maledetto smartphone.
Una cosa che Dario era riuscito a capire era che la mente del suo amico funzionava a strattoni. Ossessioni per persone o cose capitalizzavano il suo orizzonte esistenziale fino ad esaurirsi. La volta in cui si era appassionato alle gesta di Gustavo Rol aveva comprato un mazzo di carte, andava in giro con un barattolo di vernice verde e aveva preso lezioni di piano.
Nei periodi in cui niente catturava la sua attenzione cadeva in stati di profonda apatia in cui mangiava ininterrottamente qualsiasi cosa gli capitava a tiro.
La sera dell’incidente stava cercando di scoprire cosa fa un pesce durante la notte. Voleva capire se dormiva. Dario non voleva dirgli che glielo aveva detto, «sei andato al negozio» disse invece «magari te lo cambiano»
«no, la garanzia non copre certi incidenti»
«saresti dovuto stare più attento»
«scusa se stavo cercando di risolvere un fondamentale enigma di biologia marina»
«quello che non capisco è come sia possibile che Karolino sia rimasto schiacciato dal telefono?» Si chiese Dario fra se e se facendo ciondolare le esili gambette scure.
«Si vede che dormiva» contemplò il grassone «non lo sapremo mai per certo, il segreto giace nella scatola nera del mio cervello supplementare.
«Sono un uomo finito…» Concluse.
Nel tentativo di arginare quel momento di melodrammaticità Dario corse al chiosco più vicino per comprare qualcosa. Tornando porse un gelato e un panino all’amico e tenne per se una coca cola con la cannuccia. Fudo li afferrò entrambi e prese a dare morsi a destra e a sinistra senza nessun criterio.
«Hai chiesto a tua madre? Magari è disposta a comprartene uno nuovo» propose Dario
«è fuori discussione» disse l’altro sputacchiando brandelli di cibo «spende in eroina e barbiturici tutto quello che ci passa il mio povero padre»
«non ho mai visto tua madre barcollare in vita mia»
«lo regge molto bene»
«l’ero?»
«Si.»
D’un tratto il piccolo Dario tirò fuori un accendino dalla tasca della salopette e inclinandosi di lato diede fuoco a una piccola scoreggia.
«È disgustoso» disse Fudo
«mi sto allenando»
«per cosa?»
«scoregge molotov, è una gara»
«interessante»
«puoi partecipare se vuoi»
«impossibile, ormai ho lo stomaco tutto aggrovigliato per lo stress, ha la cistifellea» disse mentre ingoiava l’ultimo pezzo di panino, preparandosi a leccare ciò che rimaneva del gelato.
«Non ti resta che tornare al tuo vecchio telefono, non era male»
«il mio vecchio cellulare?» Fudo sembrò allarmato «mi rifiuto. Non può instagrammare, non può fotografare, non si può connettere. Sarebbe come provare a comunicare con una clava.»
Intanto una cicala sopra le loro teste cominciò a cantare rumorosamente. I due restarono in silenzio in cerca di una soluzione. Il Grande Fudo si calcava la visiera verde del cappellino sulla faccia così forte che gli spuntarono delle piccole macchie bianche sulle manone paffute. Improvvisamente un grosso tir di una nota compagnia telefonica attraversò il loro orizzonte, su tutto il rimorchio una scritta enorme dice “GRANDI OFFERTE!”
Fu come se il Grande Fudo avesse ricevuto un’epifania inattesa, si alzò in piedi e si mise a correre in quella direzione. Dario restò a guardarlo per una decina di secondi. Non aveva capito cosa volesse fare quel bufalo impazzito, ma prese lo stesso a inseguirlo. Molto presto nonostante le gambette corte riuscì a raggiungerlo. Avrebbe voluto provare a fermarlo ma competitivo com’era lo superò mettendosi proprio davanti a lui e fu in quel momento di scarsa lucidità che Fudo della Montagna inciampando in un sasso gli rovinò addosso schiacciandolo.     

 Aldo Consoli.


Nessun commento:

Posta un commento