Fuori dal finestrino passavano veloci istantanee di
primavera, gli alberi da frutto erano in fiore, il grano cominciava a
lievitare. Erano da soli in quello scompartimento, non si conoscevano. Lei si
trincerava dietro un grosso paia di occhiali da sole e degli splendidi e
lunghissimi capelli, neri come le notti a Gotham City. Le mani affusolate
picchiavano freneticamente sul display del touchscreen. Aveva l’aria
imbronciata di chi non voleva essere scocciata. Lui la spiava furtivamente
dietro le pagine di un noiosissimo romanzo che gli avevano consigliato. Ad ogni
capoverso pensava che era sempre meglio sbagliare di testa propria e nel
frattempo rimaneva in attesa del momento propizio per poterle parlare. Ogni
tanto riponeva il libro e prima di chiudere gli occhi per riposarli si chiedeva
quale fosse il colore dei suoi. Quando li riaprì per l’ultima volta lei aveva
aperto il giubbino di pelle leggera che aveva tenuto per tutto il viaggio
nonostante il caldo. Si sorprese nel vederle indosso una maglietta dei Mother
Love Bone. La faccia di Andrew Wood si deformava meravigliosamente sul
rigonfiamento dei suoi seni. Prese coraggio e le disse: “Eppure sei troppo
giovane per conoscere i Mother Love Bone…”. Lasciò la frase interrotta, quasi pronunciando
i puntini di sospensione, in attesa di una sua risposta. Lei alzò leggermente
la testa e protendendo l’orecchio verso di lui, come per sentire meglio, disse
infastidita: “Chi scusa?”. Intimorito lui farfugliò: “I maderlovbon…il gruppo
che hai sulla maglietta, primi novanta…un gruppo grunge”. Lei si guardò
schifata la t-shirt come se le avesse detto che aveva una grossa chiazza di
merda sul petto, ma poi, non trovandone traccia, esclamò offesa: “Ma è di Patrizia
Pepe!”. Abbassando lentamente le palpebre, rassegnato le disse: “Ah! Non
ricordavo che suonasse anche lei”. Riaprì il libro, calò lo sguardo e
ricominciò a leggere quella noiosissima solfa.
Darwes in China.
Mother Love Bone. Stardog Champion.
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