venerdì 9 marzo 2012

Milosevic. Mcallan. Dente.

Avrei voluto raccontare la mia generazione
ma non avrei voluto ritrarre i miei trent'anni come troppo spesso ho visto fare, per cui mi tenevo a distanza da tutto quel materiale che riuscivo a vedere
e che sentivo scalciare
e come la botte di Mcallan  diceva alla bottiglia
non sono ancora pronto.
Ascoltavo Dente
e mi pareva che lo ascoltassero tutti
perché non c'era troppo da starci appresso
e noi mi pareva che non avessimo troppo da stare appresso a niente
che fosse il lavoro
i soldi o l'amore
noi ce la prendevamo comoda
e ci pareva di riuscire a fare in modo che le cose succedessero per noi, tutte le volte
e ci sorprendevamo di riuscirci o meglio che le cose ci riuscissero da sole.
La nostra Napoli non era la Sarajevo degli anni novanta
di quel Milosevic di cui mi parlavano a scuola
processato dall'Aia
così non c'erano grosse prove di coraggio per testare chi era uomo e chi non lo era
e tutto era molto a parole, sarebbe stato meglio tacere spesso, ma non era facile non sentirli
abbaiare tutti sullo stesso osso.
La nostra vita era un lungomare
c'era poco da fare
stavamo così bene che a volte ci mancavano le parole per raccontare.

Faye Goddard.

 La battaglia delle bande. Dente.

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