domenica 11 marzo 2012

La missione cattolica di Faye Goddard.

Pete era un uomo votato al suicidio, capace di coltivarlo ogni giorno della sua vita, come un cane bastardo che racco­gli dalla strada, che immagini resti sempre piccolo e poi dopo un anno ti ritrovi un equino con la testa di rottweiler che scava le mattonelle in cerca di tutti gli ossi di un cimitero indiano.
Io con una sovraddose di morfina non mi ci vedevo gran che.
Alla fine il tre­no arrivò, attraversando l'interspazio Magi­not-Sigrifo dei miei pensieri contrastanti. Io coi preti non mi ero mai sentito a mio agio. Per la prima comu­nione mi costrinsero ad un corso di catechismo accele­rato fatto perlopiù di diapositive sui sacramenti in cui mi insegnarono solo l'atto di dolore. Preghiera che in ogni caso dimenticai dopo la mia prima ed unica con­fessione.
Avrei potuto dire al prete che di lì a poco avrei visto "caro padre, io non riconosco la sua auto­rità, parlerò solo in presenza della Sibilla Cumana."
Non sapevo bene chi cercare ma Pete era stato chiaro in proposito: "stai fermo al binario e non fare niente, ha una tua foto, ti riconoscerà."
Questa storia della fo­tografia poi, mi pareva una violazione della privacy. Che cazzo, non volevo la mia bella faccia nel cesso di un prete intento a fare chissà che.
I media ci hanno deviato, se pensi a prete, pensi a pedofilia, a perver­sione sessuale. Così per non sentirmi troppo omologato schiacciai quel minuscolo pensiero e cercai di vedere la cosa per come era, siamo tra spie, bisogna essere seri.
Perso nel pieno della sopracitata no mans land tra Sigfrido e Maginot, in cui scimmie Homeriane si lanciavano noccioline e cioccolata, sentii punzicchiar­mi alla schiena.

Faye Goddard.

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