Mi avviavi a
piedi, lungo la massicciata autostradale, lo lasciai nella grossa decapottabile
che ancora dormiva parzialmente vestito, sotto un cielo incandescente e gelido
del colore della polvere da sparo.
Ero esausto e
attraversavo la lingua di cemento a piedi, come un pellegrino disperato che
aveva smarrito la cometa per propria colpa e non riusciva a farsene una
ragione.
La mia
sciarpa rossa fendeva il grigio del cappotto, del cielo e dell’asfalto. Erano
le cinque del mattino.
L’autostrada
era deserta e io mi sentivo svuotato e instabile, cercando di scappare più
lontano possibile.
Il
ventunesimo secolo e la sua trappola, il cui collante è il sesso e la cui
struttura è la paranoia.
Mi lasciavo
alle spalle un uomo nudo in una enorme decapottabile americana, grigia come il
cielo e l’asfalto, come i miei capelli e il mio cappotto, capivo trascinandomi
che il sesso è una forma stilizzata di politica poiché implica e mette in scena
all’essenza lo sfruttamento.
La dinamica
hegeliana del servo padrone non era mai stata così piacevole e compromettente.
Apostolo
dell’estetica ballardiana mi svincolavo dalle maglie del secolo d’appartenenza,
consapevole che la consapevolezza non salva e non educa, ma solo svuota.
Faye Goddard.
Goodbye kiss. Kasabian
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