Passo giornate stanche e
scomode sul letto
“congelo i gavettoni con i detersivi
per i figli dei vicini”
Immaginando che le stanze in
cui passo si ricordino di me, o almeno dell’insopportabile rumore dei tasti che
tormento, delle note che ammazzo come zanzare lentamente, senza voglia di farlo
correttamente.
L’amore passeggia sulle mani
degli altri arcieri e sembrano tutti, senza accorgersene, poesie in francese
non traducibili
“lascia perdere che poi non è tutto come sembra o
almeno bombardiamo una nazione amica, basterebbe a scuotere le cose?”
Giornate stanche e scomode
sul letto e un ritornello senza radici, immaginandomi in un letto d’ospedale
inerme o inerme davvero con una siringa ammaestrata e docile affogata nel
braccio sinistro, per terra raccolto nello sconforto con occhi bui pesti.
“MA GIURO CHE MI TROVERAI MEGLIO QUANDO TORNERAI!”
Lasciami qualcosa che possa
trovare in un posto che dovrei ricordare perché ci avvicina ma non ricordo, un
posto che mi indicherai con un gesto non troppo lontano. Magari qualcosa di
piccolo come una briciola o un bottone da giubba militare dell’aviazione russa.
“Cerca lì tra le bambole, vicino alle porcellane, ma
ti ricordi…”
Vorrei che fosse nostro il
tempo delle nausee di birra scura nelle interminabili attese nelle piazze di
Dublino, nelle cabine rosse che, mi raccontavi, costruiscono in Italia, tutta
seria, e io che lo sapevo dissi di non saperlo, per non ridicolizzare col mio
sapere l’attimo in cui ogni squillo era come il filo del ragno sottile.
Quando mi arrivò il messaggio
di Klaus notammo entrambi che il cellulare raccontava di un’ora diversa da
quella dell’orologio da polso, tramutando quel piccolo oggetto in una macchina
del tempo.
Sempre tardi ci si accorge di
quanto la poesia sia alle spalle, superandoti solo quando non resta che il
rammarico, come una scopata che era solo una scopata o qualcosa di gratuito che
hai detto e avresti potuto non dire.
“ANTICAMENTE NELLE CITTA’ UOMINI SONO RIMASTI SEDUTI
IN SALE D’ATTESA NELLA NOTTE GONFI DI CIBO E ALCOOL, ASPETTANDO ASPETTANDO COME
SE LA CITTA’ NON ESISTESSE”
Entrambi protetti da cappelli
a tese strette, avvolti da fumo d’importazione che ci faceva tossire.
Il tempo in cui il mio
mignolo con imbarazzo cercava il tuo era come una briciola o un bottone di
giubba dell’aviazione russa.
“Ho visto un orsacchiotto, aveva gli occhi incavati e troppo stretti, come
di quelle persone di cui senti che non ti puoi fidare.”
Sospirò un secondo per pesare
le parole prima di dirle, come se sapesse il valore di un gesto sconsiderato e
volesse evitarlo. “Non so come dire, ma
sembrava implorasse aiuto.”
Tratto da "Cartoline dal XXI Secolo" Pier Angelo Consoli. Romanzo.
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