sabato 4 febbraio 2012

Utrecht ovvero Le storie si cominciamo per finirle.


Si stava per partire e qualcosa nell’aria si lamentava, “per Utrecht” disse Faye, la mia bocca si espresse senza necessariamente parlare.
“Voi ragazzi e le vostre faccine espressive…”
La malinconia era la tua macchina sempre sporca, paesaggio vissuto di chi ci vive.
Non ci si poteva spostare senza udire il rumore di una bottiglia, del rudere di una notte.
Lasciami andare, non chiedo altro.
“Per Utrecht?”
“Oh mio Dio”rise abbracciando il volante curvandosi con la schiena come si fa con un randagio piccolissimo “Amsterdam non è l’unica città dell’Olanda.”
Forse era la prima volta che vedevo così chiaramente nel cuore di qualcuno, o forse solo mi illudevo che ciò fosse possibile.
Le gocce sul finestrino sembravano seme che non ce l’avrebbe fatta. Per tutto il tempo il sole e la pioggia si erano alternati come piedi in cammino.
Di notte, sulle Alpi dovemmo fermarci, la neve era alta e non eravamo abbastanza equipaggiati. Sembrava che nelle orecchie si sciogliessero piccole sfere di lush, “forse è l’effetto che fa la felicità, non credi?” disse
“non so.”
L’avvolsi con un braccio perché non sentisse freddo e perché sembrò che fosse il caso di farlo, come una scenografia.
Senti che niente è reale, mentre gli adolescenti si rincorrono nei viali alberati, urlando la loro gioia appena sbocciata, con l’autunno, una stagione romantica.
L’amore d’ottobre ha i calzini di lana, le sciarpe lunghissime e il camino che fa un sacco di fumo.
L’amore talvolta ha il sapore del vino caldo e dei biscotti svedesi di zenzero e cannella.
Non puoi sapere che è finita mentre la pioggia tiene svegli i più piccoli ricordi, mentre tutte le battaglie si fermano e si rattoppano le giubbe, rispolverando i vecchi cappelli.
Senti che niente è reale mentre tutto va come non deve, e tu che ti affezioni al gatto di qualcun altro.

Faye Goddard.

C'mere. Interpol.

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