venerdì 17 agosto 2012

Sul mestiere di scrivere.

Certi giorni ti svegli e ti senti svuotato, completamente, come un rifiuto. Guardi la tua scrivania, i fogli che ti aspettano, la macchina per scrivere già sveglia e pronta che quasi saltella come un bambino e chiede tutta la tua attenzione. Provi una repulsione molto forte per il tuo lavoro, non era previsto che fosse facile, lo sapevi, eppure pensi a quelle mattine in cui non vedi l'ora di cominciare e quasi preferiresti uscire e lasciar perdere, ma una voce dentro di te ti ripete che hai lasciato tutto per questo, è tutto il tuo lavoro e hai fame e devi tirare fuori qualcosa di buono, devi andare avanti col lavoro, perché hai voluto con tutto te stesso che fosse il tuo lavoro, ti sei fatto nemici tutti i tuoi parenti che avrebbero voluto vederti sistemato, con una posizione sicura e una donna pronta ad essere tua moglie, ma tu sapevi che non ce l'avresti fatta mai, non così.
Persino le virgole ti pesano e puntelli con tenacia la tua attenzione sulla carta, cerchi di allontanare ogni stanchezza, accendi lo stereo per non pensare ad altro se non a scrivere, per non ascoltare la noia nel tuo cuore, ci passerai due ore, hai detto fino alle undici e starai seduto fino alle undici, uno scrittore non è un pittore, o un poeta, uno scrittore deve stare seduto e scrivere, deve fare molto con poco, non potendo essere in due posti contemporanenamente, come disse Mencken, deve trovare nella sua testa ogni ubiquità, nel suo cuore tutte le braccia che servono per abbracciare.


Faye Goddard.


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