I
suoi capelli conservavano ancora tutta la loro bellezza, lunghissimi e sottili
le scendevano tra le scapole scavate. Erano scuri, ma di un colore
indecifrabile, quello dei ricci di mare, un po’ neri, un po’ rossi, un po’
viola. A soli 30 anni però, Serena aveva visto la sua bellezza evaporare
rapidamente, il fisico prosciugarsi fino alle ossa. Le costole erano diventate
sottili canne di bambù ed in generale la sua magrezza era sconfinata
nell’innaturale. Dava, guardandola, il senso della fragilità, sembrava potesse
spezzarsi in qualsiasi punto da un momento all’altro.
L’eroina
l’aveva ridotta in quello stato, l’aveva depredata del senso della fame e tolto
30 chili di dosso. L’ago era diventato il suo unico dio, la sola cosa a cui
teneva ancora. Quello ed il suo figlioletto, nato pochissimi mesi prima dalla
relazione con un altro tossico che aveva, non appena saputo della gravidanza,
tolto le tende. Partiva, almeno stando a quanto le aveva raccontato, per la
Germania per ripulirsi da quella merda che ormai gli incrostava le vene. Di
fatto Serena non aveva saputo più nulla del padre del suo bambino e, nonostante
lui le aveva promesso che sarebbe tornato in tempo per la nascita di loro
figlio, per far sì che quella creatura avesse un padre vero e non quel fantasma
in cui l’aveva ridotto la droga, lei sapeva bene che non l’avrebbe rivisto più.
Conosceva quella bugia prima ancora che le fosse presentata come una
giustificazione. Tanto più che non le importava assolutamente nulla se lui fosse
tornato o meno, non se ne era mai innamorata e la sua presenza poteva solo
essere un impiccio in più. In quei mesi di gravidanza, ogni tanto, pensava che avrebbe dovuto smettere anche lei per il bene del piccolo, ma quel desiderio, sospinto dall’amore materno della donna che sente crescere una nuova vita nel suo grembo, veniva affossato inesorabilmente alla prima crisi d’astinenza. L’urgenza di bucarsi diventava l’unica ragione di vita e quando, iniettatasi quel veleno nelle vene, quella febbre si placava ed il senso di pace la invadeva, allora ripensava al bambino e giurava a se stessa, per tenere lontani i rimorsi della coscienza, che quello era l’ultimo buco che si sarebbe fatta sul braccio. Ma quelle promesse erano diventate decine e poi centinaia ed anche dopo il parto la storia non aveva cambiato il suo corso. Ed era ormai tanto profondo quel solco che in quella serata così afosa, Serena, bagnata di sudore e di disperazione, si era ritrovata con il suo bambino in un braccio e con l’ago nell’altro. Mentre uno cercava di sfamarsi del suo latte acido, aggrappandosi disperatamente a quel seno rinsecchito che neanche la gravidanza era riuscito a rinvigorire, l’altro le infondeva la morte, facendola scorrere lentamente nel suo corpo e liberandola da ogni colpa.
Darwes In China.
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