giovedì 12 gennaio 2012

Rondoni. Edera. Dresda.

Faye emigrava sempre a gennaio come i rondoni, e io le dissi aspettiamo la primavera, come Bandini e come tutti i poeti Beat, "come potrei lasciare questa città in primavera" disse "so che non ci riuscirei."
Eppure ero convinto che questa città non fosse capace di trattenerci, per tutte le mattine che ci eravamo sentiti inutili, come merce avariata.
Per sua fortuna Faye Goddard non si era mai protetta, così entrare nella sua vita era stato come entrare a Dresda la mattina del 15 febbraio del 1945, c'erano delle macerie, bisognava farci i conti.
Intanto avremo speso le nostre attese in monete di ricordi, con la speranza che si faceva sigarette. Avrei gettato il mio cuore nei cortei di Buenos Aires, come ai tempi delle Malvinas, pur di averne ancora un po', pur di riuscire a restare stretto a lei ancora per un'ora, un giorno, ma sapevo che Faye Goddard era come i soffioni, non puoi sapere fino a quando anche solo poco vento arrivi a portarla via. Mi sarei ritrovato ancora come un prato senza margherite, io che sono l'edera e Faye la margherita, lei che era da cogliere e io da sradicare.

Per faye Goddard.

Col suono degli antifurti che vengono dalla strada.

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